Craxi, Vittorio Feltri: “Era Bettino e dunque colpevole”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 17 Dicembre 2013 - 07:34 OLTRE 6 MESI FA
craxi

Il libro di Nicolò Amato, “Bettino Craxi, dunque colpevole”

ROMA – Vittorio Feltri ricorda la caduta di Bettino Craxi. Confessa la propria disillusione e smaschera le inchieste a senso unico.

(…) Uno dice: ma Feltri come può c’entrare con un libro che sin dal titolo mostra la convinzione dell’autore? E cioè: Craxi era un colpevole predestinato, odiato e dunque condannato in parten­za non per dei fatti criminali o perché si fosse accertato un rea­to, ma perché sì, perché era lui, era Bettino, aveva messo in crisi l’apparato di potere della sini­stra e della magistratura, per di più pretendeva che la vera sini­stra­fosse il suo socialismo auto­nomista e non quella orfana del­l’Urss, un attrezzo occidentale di tipo socialdemocratico. Era Bettino e dunque colpevole, non solo perché aveva idee di­verse e pericolose per le caste rosse, ma perché era semplice­mente Bettino, una cosa unica come unici sono tutti gli uomi­ni, ma lui di più. Era fatto di una pasta da capro espiatorio idea­le, gigantesco, un ariete perfetto da veder ruzzolare a terra dopo la sua inutile carica, e sgozzarlo felici.

Esagero con le immagini tru­culente, ed è un modo anche questo per espiare il fio, introdu­cendomi a meditare in che raz­za di compagnia mi fossi infilato dandogli addosso, diventando uno della banda di babbuini di­grignanti e ridenti intorno al Be­stione. È arcinoto. Ho partecipa­to alla battuta di caccia al Cin­ghialone. Nel 1992 stavo a fian­co di Antonio Di Pietro e di altre toghe. A Bettino Craxi ho dedica­to i titoli più carogna della mia vi­ta professionale al tempo del­l’ Indipendente .

Del resto Bettino non fece nul­la per sottrarsi ai colpi. Incuran­te di essere considerato il sim­bolo della politica ladra e cor­rotta, circondato da ometti che non facevano nemmeno lo sforzo di togliersi la giacca da gangster, non smetteva di ergersi senza ripararsi. Non schivava i colpi, e io pensavo fosse alterigia: quindi via con le ironie, le indignazioni e i sar­casmi. Ho sbagliato. Non scrive­rei più festosamente davanti al­la «rivolta popolare» che accol­se Bettino la sera del 30 aprile del 1993 fuori dall’hotel Raphaël a un passo da piazza Na­vona.

Mi sento definito da quanto scrive Nicolò Amato a proposito dei magistrati di Milano: «Han­no fatto errori, ma in buona fe­de ». I giudici non so, di certo al­cuni non sono stati in buona fe­de quando hanno salvato i com­pagni del Pci e della sinistra Dc. Io sì, ero convinto di quanto scri­vevo e dicevo, ero in buona fede, ma peggio mi sento. Non sono stato cinico, ma cieco. Perché avrei dovuto alzare lo sguardo. Mettere a frutto l’esperienza ac­quisita quando se­guendo il pro­cesso contro Enzo Tortora mi ac­corsi della parzialità dei Pm e delle loro trombe giornalistiche e denunciai l’infamia. Nel caso di Craxi non vidi. Non avrei do­vuto fidarmi di chi, con la scusa di ripulire il mondo dai mascal­zoni, prenotava la propria sta­tua del condottiero a cavallo.

Se avessi fatto lavorare come si deve i miei cronisti, o anche so­lo applicato l’intuito, avrei ac­certato che il «popolo»delle mo­netine a Craxi era in gran parte costituito da militanti i quali sta­vano un attimo prima al comi­zio di Occhetto a piazza Navo­na. Avrei dovuto sospettare e de­nunciare subito come sarebbe finita. Un repulisti che salvava i peggiori, che oltre alle tangenti si erano divorati i rubli. Quando finivano in carcere i tesorieri sco­nosciuti e le mani lunghe del Pci, ma i capi mai, ci limitavamo a credere che fosse per la razza dei compagni, usi obbedir ta­cendo e tacendo morir, eroici co­me Salvo D’Acquisto. A tal pun­to funziona la sudditanza psico­logica in questa provincia del­l’Impero. Balle. Craxi non pote­va non sapere, mentre per i com­pagni vigeva un’altra legge, fu applicata loro l’immunità della Santa Ignoranza, i lea­der rossi sono im­macolati aven­do lo sguar­do perso verso il sol del­l’av­venir.

Altro che uguaglianza e impar­zialità della giustizia. Gli Occhet­to, i D’Alema furono solo sfiora­ti a Milano da una Pm, Tiziana Parenti, subito trattata da colle­ghi e stampa come una scema. Risultato: Craxi, Forlani, Gava, Darida, Pomicino, De Lorenzo, De Michelis, persino Sterpa, La Malfa e Bossi conobbero l’onta o del carcere o dei processi. I compagni di grosso calibro, mai, solo i manutengoli. Mi fidai delle promesse di Di Pietro, il quale assi­curò c­he avreb­be provvedu­to anche a sinistra.

N o n feci bene tutto il mio mestiere. Ne in­terpretai solo una parte: il fiuto. Percepivo nell’aria il crollo del sistema, la voglia della gente co­mune di allestire tante belle pire in tante piazze per eliminare tra fiamme purificatrici una classe politica che allegramente aveva caricato l’Italia di un enorme de­bito pubblico, e invece di rime­di­are rubava non solo per i parti­ti ma anche ai partiti medesimi. Colpa grave di un politico è non capire cosa agita il sentimento dei cittadini. Questo non signifi­ca che per f­orza si debba massag­giare la pancia della marmaglia, ma prendere le contromisure sì. Invece anche Craxi non capì. Si arroccò. Questo ti rimprovero tuttora Bettino, se mi ascolti, ma non credo (a differenza tua, che sul finire della vita, tra le palme da dattero scrivesti preghiere anche in arabo a Dio, io resto per ora ateo). Un grande politi­co come te, come fece a non capi­re? Stavi troppo lontano dalla gente, frequentavi solo la tua corte. Hai fatto grandi cose, met­tendo alla frusta i democristiani delle Magna Grecia, impeden­do il compromesso storico, ab­battendo la scala mobile che ci avrebbe condotto a un fallimen­to­argentino già negli anni Ottan­ta, ti sei agitato come un leone fe­rito quanto i comunisti ti hanno ucciso l’amico Walter Tobagi e gli assassini comunisti dopo un battere di ciglia sono stati man­dati in libertà. Ma non hai capito niente delle forche che si stava­no preparando per te. E ti chi hanno appeso.Un po’ per colpa di una magistratura strabica e pervenuta,ma anche per l’indi­gn­azione popolare mossa dai la­trocini e dall’illegalità diffusa. Quando si sentiva odore di poli­ti­ca somigliava a quello della fo­gna, e il fiore che vi galleggiava pasciuto era il garofano. Come hai potuto lasciar fare?

Il tuo discorso potente del lu­glio del 1992, quanto chiamasti a correi tutti i deputati presenti a Montecitorio per il finanzia­mento illecito alla politica, e in­saponasti così la corda della tua impiccagione,nasconde un’im­perdonabile colpa di omissio­ne. Bettino, sei stato presidente del Consiglio. Non avevi da far al­tro che proporre norme per dare trasparenza ai fi­nanziamenti, le­galizzandoli. In­vece ti sei limita­to ad acconsenti­re a un’amnistia sul tema, in data 1989, con risulta­to di rendere can­dido come la ne­ve il torrente in­sanguinato dei rubli del gulag, fi­nito nei forzieri comunisti. Com­plimenti. Sono sarcastico anche se sei defunto. Ma te lo devo, per l’affetto che col tempo ho maturato per te, Bettino. Come scrive Nicolò Amato citando Voltaire: «Ai vivi si devono riguardi; ai morti di de­ve soltanto la verità». Non ho ri­spettato ai tempi la prima parte di questa massima liberale. È an­che questa una verità che devo al morto (…)