Crimea, l’Europa contro Putin, dimissioni Gentile: prime pagine e rassegna stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 4 Marzo 2014 - 08:28 OLTRE 6 MESI FA

Il Corriere della Sera: “Europa e Usa avvertono Putin”. Ma integrare non è assimilare. Editoriale di Giovanni Sartori:

Quando Letta creò il suo governo inventando per l’occasione un ministero dell’Integrazione affidato a Cécile Kyenge «donna e nera», laureata in farmacia (o medicina) e specializzata in oculistica, pensai che questa signora, spuntata dal nulla e manifestamente incompetente in materia di integrazione, fosse una super protetta di chissà quanti colli e montagne. Per fortuna mi ero sbagliato visto che non è stata inclusa nel governo Renzi. È sì previsto che Cécile Kyenge si presenti alle elezioni europee e sembra certo che la nostra sinistra terzomondista intenda farne il suo nuovo portabandiera ideologico.
Ma al momento la nostra Cécile non è più (come ha scritto l’autorevole Foreign Affairs americano) una delle cento donne più potenti del mondo. Al momento si è solo manifestata come dogmatica fautrice dello ius soli e ora con il preannunzio di un libro (che echeggia nel titolo Martin Luther King) «Ho sognato una strada: i diritti di tutti». In attesa approfitto della pausa per riflettere sullo ius soli e, correlativamente, sullo ius sanguinis .
Giuridicamente parlando, la cittadinanza italiana è fondata sullo ius sanguinis : siamo cittadini italiani se siamo nati in Italia da cittadini italiani. Dopodiché restiamo italiani per sempre in patria e fuori. La soluzione opposta è quella dello ius soli : si diventa cittadini del Paese nel quale entriamo e ci insediamo. Storicamente questa differenza è facile da spiegare. I Paesi sottopopolati (l’America del Nord fino al 1620 era quasi vuota) adottano lo ius soli perché hanno bisogno di popolazione, di nuovi cittadini, mentre i Paesi con antiche popolazioni stanziali adottano di regola lo ius sanguinis : chi nasce in Italia è cittadino italiano e lo resta anche se poi va a spasso per il mondo.

L’Europa minaccia ritorsioni contro Mosca. Dal corrispondente Ivo Caizzi:
L’Ue condanna l’azione della Russia in Crimea. Considera le prime ritorsioni negli accordi sui visti e sulla cooperazione economica. Minaccia ulteriori «misure mirate», se il presidente russo Vladimir Putin non ritirerà le sue truppe dal territorio dell’Ucraina. Ma, a Bruxelles, il Consiglio straordinario dei ministri degli Esteri Ue ha lanciato soprattutto aperture al dialogo per cercare «una soluzione pacifica» della crisi tra Mosca e Kiev. Un Consiglio straordinario dei capi di Stato e di governo dell’Ue, convocato giovedì prossimo sempre a Bruxelles, valuterà la possibilità di un accordo o se passare alle «misure mirate» contro la Russia.
«Questa è senza dubbio la crisi più seria dalla caduta del Muro — ha dichiarato il ministro degli Esteri tedesco Franz-Walter Steinmeier —. Venticinque anni dopo la fine dello scontro tra i blocchi, il pericolo di una rinnovata divisione dell’Europa è reale». Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha confermato l’orientamento dell’Ue sia alla «fermezza», sia al «dialogo». La neo-responsabile della Farnesina Federica Mogherini ha detto che nella comunità internazionale «non esiste l’opzione di una soluzione militare». La responsabile Ue per gli Esteri, la britannica Catherine Ashton, ha annunciato un incontro per oggi a Madrid con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov per sviluppare la trattativa. Domani Lavrov dovrebbe incontrare a Parigi il capo della diplomazia Usa John Kerry, che segue una linea più dura rispetto all’Ue.
Premier nella tenaglia di problemi reali e logiche contrapposte. La nota politica di Massimo Franco:
C’è da chiedersi se Matteo Renzi avrebbe avuto maggiore potere di influire sulla riforma elettorale stando fuori da Palazzo Chigi. Gli attacchi preventivi che sta ricevendo in questi giorni dicono infatti quanto sia scomoda la sua posizione come presidente del Consiglio. È in atto un’offensiva di Forza Italia, che sente odore di rinvio e teme il cedimento del premier alle spinte dei partiti minori contrari al cosiddetto Italicum col suo ballottaggio: un atteggiamento che fa minacciare a Silvio Berlusconi la disdetta dell’asse istituzionale col segretario del Pd. Poi c’è la tenaglia degli emendamenti parlamentari, decisi dagli alleati e dalla minoranza del Pd per rendere difficile, se non improbabile, quanto sembrava quasi fatto. E le dimissioni forzate del sottosegretario Antonio Gentile, del Nuovo centrodestra, sono un segnale controverso per il governo.
L’irritazione berlusconiana è segnalata dalle parole quasi liquidatorie usate da Giovanni Toti, il consigliere oggi più accreditato del leader. Parlare di «credito che si sta esaurendo», e mettere in fila critiche sul modo in cui si è formato il governo e sulle prime scelte di Renzi, sa di preultimatum. La riunione di ieri pomeriggio tra premier, coordinatore di FI, Denis Verdini, e Gianni Letta, racconta il tentativo di raddrizzare la situazione e di evitare il naufragio dell’«altra maggioranza»: non di governo, ma altrettanto importante per definire la riforma del sistema. Renzi si trova adesso nella posizione non di padrone di due alleanze alternative, quanto di parafulmine di due logiche e di altrettante strategie almeno in apparenza inconciliabili.

La prima pagina di Repubblica: “Gentile si arrende: mi dimetto”.

La Stampa: “Risolto il caso Gentile. Si complicano le riforme”.

Mosca fornisce un terzo del gas. L’Ue teme la “guerra del Freddo”. Scrive Marco Zatterin:

Peggio della «Guerra fredda» potrebbe essere la «guerra del Freddo», confessa a denti stretti un esperto di questioni energetiche. Ma peggio per chi? Lo scorso anno la Russia ha venduto all’Europa 160 miliardi di metri cubi di gas, per un valore di circa 64 mila miliardi di euro. L’Ue da sola acquista quasi il 90% del petrolio ex sovietico, il 70% del gas e il 50 del carbone. L’export di energia vale per Putin un quarto del Pil. Se, per qualche motivo che è meglio non immaginare nemmeno, gasdotti e oleodotti transeuropei dovessero essere chiusi, per la federazione sarebbe un disastro economico, rileva la fonte: «È per questo che possiamo sperare che Putin si fermi prima che sia tardi; è un gioco con cui si rischia di spegnere la candela».

L’arrivo dei soldati con e senza mostrine in Crimea solleva una doppia questione di indipendenza. Lo fa dal punto di vista politico per l’Ucraina, crocevia del gas che dai serbatoi dell’ex impero sovietico confluisce verso l’Europa attraverso una rete di 40 mila chilometri di oleodotti. E poi da quello energetico per l’Europa, terra in cui alcuni leader in queste ore si staranno forse chiedendo se sia stato davvero un affare trattare con compiacenza il sempre indisponente zar Vladimir, e quanto sia stata una buona idea non costruire un mercato unico dell’energia fondato su una rete integrata a livello continentale.

Il Fatto Quotidiano: “Il cinghiale si dimette. Ma la Barracciu e gli altri?”.

Leggi anche: Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Il governo Laqualunque”

Il Giornale: “Renzi sotto ricatto”. Editoriale di Salvatore Tramontano:

Se sono veri i retroscena sulle di­missioni del senatore Anto­nio Gentile da sottosegreta­rio, allora questo governo durerà po­co, con o senza nuova legge elettora­le. Raccontano, infatti, che le dimis­si­oni di Gentile siano frutto di un ba­ratto, l’ennesimo, tra Renzi ed Alfa­no. Il premier garantisce che l’Itali­cum arriverà, ma con calma, e il mi­nistro dell’Interno offre in cambio la testa del suo senatore sottosegre­tario. Fosse veramente così, gli italia­ni potrebbero soltanto rassegnarsi. Ancora una volta si sono illusi: nean­che Renzi è il premier tanto atteso. Non si cambia un Paese, un siste­ma, un modo di fare politica pren­dendo in giro la propria credibilità. L’impegno sulla legge elettorale non è soltanto un accordo con il Ca­valiere, ma con i cittadini. Cambia­re le carte in tavola, rallentando l’iter e modificando la legge, oltre al danno è una beffa. Il senatore Ant­o­nio Gentile non sarebbe mai dovuto diventare sottosegretario, nominar­lo è stato un errore per riempire la scarsa disponibilità di voti di Alfa­no. Ora dimetterlo era necessario, ma non perseverando nell’errore di risarcire ancora una volta Alfano. Non si baratta un patto per una schi­fezza di accordo sottobanco.