Decadenza Berlusconi, seconda rata Imu, Juve: rassegna stampa del 28 novembre

di Redazione Blitz
Pubblicato il 28 Novembre 2013 - 08:36 OLTRE 6 MESI FA
rep5

La Repubblica del 28 novembre

ROMA – Berlusconi non è più senatore “Oggi decade la democrazia” lo stanco saluto del Cavaliere. L’articolo di Francesco Merlo su La Repubblica:

Non “Forza Italia” dunque ma “Senza Italia” è l’inno che solennizza, tanto per parodiare Stefan Zweig, la data storica, l’ora stellare e il minuto vertiginoso: le 17.43 del 27 novembre 2013: «Non lo dimenticherò mai». Dunque la Decadenza, l’avvenimento che tutto decide e tutto dispone, è subito parodia, ma più di Dita Von Teese, la regina del Burlesque, che di Napoleone, l’eroe sconfitto a Waterloo.

Anche via del Plebiscito è la caricatura di una piazza. Non è neppure un palcoscenico, ma èuna ridotta, un foyer che sembra affollato anche quando non c’è pubblico come stasera. E infatti questo è il luogo che il fascismo riservava al parcheggio delle ambulanze (“lettighe” le chiamavano) durante le adunate (vere) nella vicinissima piazza Venezia.

Ed è parodia anche la gioia armata che Berlusconi esibisce subito: «il Senato è di sinistra» grida «e ha ordinato al tempo di fare freddo». E lo dice per sottolineare che è qui senza cappotto. Sa che le telecamere inquadreranno lui che sfida il gelo e poi, per contrasto, la folla tutta imbacuccata, con i colli incassati nei toraci: è un cartoon orrendo che dà la sensazione della patacca, della maschera di cera. L’ho guardato attentamente, con il vecchio binocolo del cronista, e soprattutto quando è sceso e la sua devota fidanzata, che per tutto il tempo del comizio aveva inalberato il cartello «oggi decade la democrazia », gli ha baciato la mano. Ebbene, sotto il girocollo nero, si intravede qualcosa di molto aderente, non la maglia della salute ma una più efficace muta Mares da sub che è l’ultima grottesca trovata per parodiare Superman.

Gli slogan sono i soliti ed è stato anzi un po’ fiacco quando ha attaccato le istituzioni italiane soprattutto «la magistratura che soggioga il Parlamento». Sembrava una copia, sbiadita dalla carta carbone, della manifestazione di agosto, nello stesso posto e con la stessa gente. Mancavano solo le lacrime e il respiro che gli tagliava la gola. Erano identici anche i trucchi diregia del potente pretoriano Roberto Gasparotti (ancora quello della calza) che si sta applicando con passione a truccare come oleografie televisive le ultime cartucce del padrone. Dunque anche ieri sera la telecamera montata sul braccio mobile, — si chiama jimmy jib — si allontanava piano piano e, dando l’effetto di profondità, moltiplicava le teste della folla. Se fosse dipeso da lui, ieri sera Gasparotti avrebbe disposto un diluvio di fuochi d’artificio (finti) per illuminare il sublime istante dell’uomo dalla finta natura indomita.

GUARDA ANCHE: Berlusconi fuori dal Parlamento, le prime pagine del 28 novembre 2013

“È un giorno di lutto, ma resto in campo”. L’articolo di Silvio Buzzanca su La Repubblica:

L’Inno di Mameli risuona, le bandiere di Forza Italia sventolano, Silvio Berlusconi saluta con la mano destra alzata, Poi la porta al cuore. Cerca di rompere il ghiaccio, cerca il feeling con la piazza. «Guardate che le parole di Mameli sono impegnative, “siam pronti alla morte”», dice. Cerca la battuta: «Il Senato di sinistra con il suo potere ha ordinato al tempo di fare freddo». Cerca lui di riscaldare i cuori dei militanti: «Oggi, – dice – è un giorno amaro, un giorno di lutto per la democrazia».

Un giorno tanto nero che alla fine del comizio a Via del Plebiscito si commuove e non riesce a trattenere le lacrime. Lui però assicura che non ha intenzionedi mollare, di volere restare in campo. «A sinistra brindano – dice – perché hanno portato un nemico di fronte al plotone di esecuzione, è un giorno che avevano aspettato da 20 anni e oggi sono euforici ». Ma rassicura i militanti, «non disperate se io sarò fuori dal Parlamento. – dice – Saremo sempre in campo. Siamo qui, saremo sempre qui e io con voi. Anche da non parlamentare si può continuare a battersi per la nostra libertà. Mi batterò anche fuori dal Parlamento come altri leader. Come Grillo e Renzi».

Quello che appare sul palco è però un Cavaliere stanco. Il guizzo non arriva. La piazza aspetta. Ma non può certo entusiasmarsi davanti alla ricostruzione dei fatti dal 1992 ad oggi. Cose sentite e risentite decine di volte. Come Magistratura democratica estremista, vicina alla Br, tesa all’attuazione di «una via giudiziaria al socialismo contro il capitalismo borghese».

Non esalta i cuori dei militanti sentire ancora una volta il conteggio dei processi subiti. Ieri erano 57 con 41 vittorie. La piazza vuole il sangue, ma Berlusconi sembra gettare acqua sul fuoco. Dice che «questa è una manifestazione pacifica perché noi non viviamo nell’invidia e nell’odio come loro». Poi si attarda sul premier senza poteri, i decreti legge bloccati dal presidente della Repubblica, il ruolo della Consulta.

La piazza rimane fredda. Si aspettava di più. E poco la soddisfa poter gridare “traditori, traditori” quando Berlusconi evoca Alfano e Schifani che se ne sonoandati. Tanto meno la eccita sapere che rinascono i club Forza Italia che ora si chiameranno Forza Silvio. Prima grande manifestazione l’8 dicembre.

Letta: ho i voti di Berlusconi nel 2008 E prepara la verifica con Renzi e Ncd. L’articolo di Goffredo De Marchis su La Repubblica:

I banchi vuoti del governo durante tutto il dibattito sulla decadenza sono la prova provata che, sì, l’esecutivo poteva essere tenuto al riparo dalle vicende giudiziarie del Cavaliere. «Ci prendevano per matti — ricordano con un sorriso a Palazzo Chigi — quando dicevamo che i problemi di Berlusconi potevano rimanere fuori dalla vita del governo, che non avrebbero inciso. È andata proprio così».

Letta apprezza anche la misura del dibattito in aula, l’assenza di festeggiamenti da parte del suo partito, il Pd. Considera quest’atteggiamento in sintonia con il suo lavoro e con la delicatezza del momento. Ed è anche il segno che il Paese può essere considerato già “oltre Berlusconi”. Il premier ora si concentra sulla sua nuova maggioranza. I 171 sì ottenuti nella notte di martedì con il voto di fiducia sulla legge di stabilità «sono un numero elevato»,spiega in una conferenza stampa a Palazzo Chigi mentre al Senato si consuma l’ultimo atto della caduta. «Questo risultato molto significativo ci darà forza, coesione e prospettiva per tutto il 2014». Abbastanza forza da mostrare immediatamente i muscoli ai 6viceministri e sottosegretari di Forza Italia. Che Letta invita, senza fretta per carità, a dimettersi per tracciare una definitiva linea di chiarezza. I numeri «non sono risicati», sono quelli che aveva il governo Berlusconi nel 2008 e con i quali ha amministral’innestoto l’Italia fino alla fine del 2011. In realtà, i lettiani si aspettano almeno altre 10-12 adesioni di parlamentari favorevoli alla Grande coalizione. Sarebbe la prova generale di una blindatura dell’esecutivo, il viatico per affrontare al meglio le riforme istituzionali, di risorse per il lavoro e il semestre italiano di presidenza dell’Unione europea.

Se il presidente del Consiglio ricorda che questi consensi non li aveva «nemmeno il governo Berlusconi negli anni scorsi, tranne una volta nel 2008 conuna fiducia di 173 voti», bisogna adesso calcolare il contraccolpo sugli scissionisti del Nuovo centrodestra, freschi di strappo dal decaduto senatore. I 30 voti di Angelino Alfano (il subentrante a Berlusconi infatti si schiera con l’Ncd) sono determinanti a Pa-lazzo Madama e hanno subito la necessità di farsi sentire. Il vicepremier infatti annuncia un’offensiva per «la riforma della giustizia entro un anno». È il cavallo di battaglia di vent’anni di berlusconismo, non è detto che adesso non possa fare breccia anche nelle file del Partito democratico. Ma sembra soprattutto tattica per mantenere le posizioni nel campo ridisegnato della destra.

Via la seconda rata Imu, ma c’è la beffa. L’articolo di Alessandro Barbera su La Stampa:

La si potrebbe definire la maliziosa applicazione del principio di federalismo responsabile: tu hai alzato le aliquote, tu te ne assumi la responsabilità di fronte ai tuoi concittadini. Gli italiani che si troveranno costretti a pagarla la giudicheranno per quel che è: una beffa. Per i sindaci che ora devono decidere che fare è una bella grana. Già, perché se uno si fermasse agli annunci del governo dovrebbe concludere che sulla seconda rata dell’Imu sulle prime case di quest’anno è finalmente tutto a posto. Non è invece così, non almeno per i seicento Comuni che, in attesa di capire cosa sarebbe accaduto a Roma, hanno incautamente alzato le aliquote. Fra questi Milano, Bologna, Napoli e Genova. Chi possiede una casa in uno di questi Comuni a gennaio dovrà pagare metà di quanto previsto dall’aumento, dice il comunicato diffuso ieri sera da Palazzo Chigi, poiché il governo promette di farsi carico dell’altra metà. A meno che i Comuni non decidano autonomamente di fare un passo indietro e di rinunciare a quel gettito. Nel solo caso di Milano per Giuliano Pisapia significherebbe rinunciare a circa cento milioni di euro.

Fatto è che ieri Letta ha approfittato della decadenza del voto sulla decadenza del Cavaliere per annunciare la lieta novella dell’abolizione della seconda rata della tassa sulla prima casa. Ma far tornare i conti quando si ha fretta non è semplice. Per accontentare tutti il premier avrebbe dovuto trovare quasi tre miliardi, ne ha raccolti poco più di due. Restano fuori dall’esenzione le abitazioni che insistono sui terreni agricoli: il consiglio dei ministri ha esentato i soli «immobili strumentali», per capirsi stalle e affini. Una mezza esenzione rispetto alle promesse, che però ha fatto emergere una delle tante contraddizioni in cui è incappato questo governo: i beni strumentali delle imprese agricole sono esentati dall’Imu al 100%, quelli delle altre aziende del 30%. «Non possiamo essere d’accordo con una simile diversità di trattamento», abbozza il capo degli industriali Giorgio Squinzi.

L’altra novità dell’ultima ora è l’aggravio sulle banche. Le quali, oltre a dover pagare un acconto del 130% sulle tasse del 2014 e di parte di quanto dovuto per la gestione del risparmio, si faranno carico anche di un aumento una tantum delle aliquote Ires al 36%, otto punti percentuali. L’Abi, l’associazione d’impresa che riunisce le banche, non l’ha presa bene e fa trapelare la propria irritazione. Si potrebbe argomentare che, al netto delle misure varate a loro favore (fra queste la deducibilità delle perdite, il fondo di garanzia per le imprese e la rivalutazione delle quote di Banca d’Italia) non avrebbero complessivamente di che lamentarsi. Certo è che trovarsi dalla sera alla mattina con l’aumento di otto punti delle tasse non è un gran vedere. Non per le grandi aziende abituate a fare pianificazione fiscale. Non in un Paese che si mostra deciso a voler attirare nuovi investitori.

Merkel fa il tris e diventa più “sociale”. Raggiunta l’intesa con l’Spd: sì al salario minimo, meno contratti precari. Ma sull’Europa non si cambia. L’articolo di Matteo Alviti su La Stampa:

Più attento alle fasce deboli della popolazione in politica interna, ma con lo stesso volto inflessibile in Europa. A voler sintetizzare l’anima della grande coalizione nata ieri in Germania alle prime luci dell’alba, dopo una trattativa estenuante di 17 ore, basterebbero due punti simbolici del programma condiviso: l’introduzione del salario minimo voluta dai socialdemocratici della Spd e il «no» all’aumento delle tasse imposto dall’Unione di Cdu e Csu.

Rush finale in 17 ore

L’accordo tra i futuri alleati è arrivato a oltre due mesi dal voto federale, dopo cinque, lunghe settimane di trattative. Ora un referendum tra gli iscritti Spd dovrà ratificare l’intesa, e a meno di improbabili sorprese il 17 dicembre Berlino avrà la sua nuova cancelliera, Angela Merkel, al terzo mandato consecutivo, il secondo di grande coalizione.

Nelle 185 pagine di programma gli alleati hanno potuto trovare un accordo su tutto. In primis il già ricordato salario minimo a 8,50 euro l’ora, che arriverà nel 2015, ma cui le parti sociali potranno derogare fino al 2017. Limiti anche ai contratti atipici.

In pensione prima

Più articolata la partita sulle pensioni, tema su cui gli alleati di grande coalizione hanno scelto di accogliere tutte le più importanti rivendicazioni, a dispetto dei costi. Rispetto alla riforma attualmente in corso, che prevede l’innalzamento fino a 67 anni per l’età pensionabile, sarà concessa una deroga senza sanzioni per i lavoratori che a 63 anni avranno 45 anni di contributi. L’Unione ottiene l’aumento delle pensioni per chi ha avuto figli prima del 1992. Dal 2017 sarà infine introdotta una pensione di solidarietà da 850 euro per i contribuenti più deboli.

Più facile diventare tedeschi

Passa anche un altro cavallo di battaglia della Spd, la doppia cittadinanza per i figli di stranieri nati in Germania. Per conto suo la bavarese Csu ha potuto rivendicare l’introduzione sulle autostrade di un pedaggio, ma solo per le auto con targa straniera (su questa misura resta in sospeso l’ok di Bruxelles). Sul versante energetico si punta ad aumentare la percentuale ottenuta da fonti rinnovabili al 55-60% entro il 2030.

Juve c’è futuro. I bianconeri si sbloccano: piegano il Copenaghen e superano anche il Galatasaray. A Istanbul basterà un pari per gli ottavi. L’articolo di Marco Ansaldo su La Stampa:

Il futuro che Conte cercava gliel’ha consegnato Arturo Vidal. I tre gol del cileno, uniti alla vittoria del Real Madrid, permetteranno alla Juve di andare a Istanbul il 10 dicembre con due risultati utili per la qualificazione agli ottavi. Un futuro di rigore, per come è maturato il primo successo in Champions League: sono stati i penalty a permettere ai bianconeri di passare in vantaggio nel primo tempo e di tornare avanti sul 2-1 nella ripresa, quando il gol dei danesi aveva riportato l’atmosfera di questa Coppa maledetta in cui le prime due partite erano state dominate e concluse con un pareggio. Stavolta la paura è durata cinque minuti. Il tempo perché Mellberg, ex bianconero e autore dell’1-1, atterrasse Llorente. Da quel momento la vittoria è filata via liscia, con più attenzione alle mischie in area e la lucidità per imporsi a un avversario evidentemente più debole. A parte l’avvio della ripresa è stato un match a senso unico.

Nel primo tempo ha giocato solo la Juve, anche più delle attese perché neppure in campionato si vedono squadre spazzare via alla maniera antica dei danesi, alla viva il parroco si diceva quando il calcio si praticava negli oratori (ma pare che stia tornando di moda). La disposizione scelta da Solbakken era semplice come in un calciobalilla: due linee strette da 4 giocatori ciascuna, due attaccanti fastidiosi come tafani nello svolazzare attorno al difensore juventino che iniziava l’azione, con la differenza che queste sono mosche da un quintale.