Dimissioni odissea. Nuove regole, addio a quelle in bianco

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Marzo 2016 - 11:58 OLTRE 6 MESI FA
Dimissioni odissea. Nuove regole, addio a quelle in bianco

Dimissioni odissea. Nuove regole, addio a quelle in bianco

ROMA – Dimissioni odissea. Nuove regole, addio a quelle in bianco. Dallo scorso 12 marzo se sei un lavoratore dipendente che lavora nel settore privato dare le dimissioni è diventato molto più difficile. Colpa (o merito a seconda dei punti di vista) del Jobs Act  che ha introdotto nuove norme per combattere la pratica delle dimissioni in bianco. Intenzione sacrosanta, ovviamente, ma con esiti non del tutto positivi visto che, come osserva su La Stampa Walter Passerini, dare le dimissioni rischia di diventare un’odissea.

Spiega Passerini che con la nuova norma vanno in pensione le semplici dimissioni vocali, per telefono o via email. Servirà per forza una dichiarazione telematica. Non la cosa più semplice del mondo come spiega il cronista de La Stampa:

(…) è obbligatorio compilare una dichiarazione telematica, anche da parte di chi va in pensione. La regola vale solo per il settore privato e, quindi, esclude il pubblico impiego. E’ necessario a questo punto ricordarsi di richiedere il Pin all’Inps e non all’ultimo minuto, perché l’operazione non è immediata. Qui si apre una doppia possibilità: secondo il decreto del 15 dicembre è necessaria una doppia autenticazione, una all’Inps e una al portale del ministero del Lavoro, Cliclavoro; secondo la circolare 12 del 2016 è sufficiente una sola identificazione, in questo caso dell’Inps. E’ questo il primo bivio. Il secondo è quello di decidere se compilare la domanda da soli o se farsi aiutare da un intermediario (patronati e simili). Se si sceglie di fare da soli, bisogna essere abbastanza esperti di internet, se non si vuole vedere respinta la domanda, perché errata o incompleta. Del resto non tutti i lavoratori hanno dimestichezza con le nuove tecnologie o possiedono un computer. La domanda completata a questo punto arriverà all’Inps e alle direzioni del lavoro di territorio e all’indirizzo elettronico del datore di lavoro.

Non mancano complicazioni “tecniche” anche per il datore di lavoro. Spiega sempre Passerini:

Siccome ci sono sette giorni per ripensarci, un lavoratore potrebbe ritirare nel frattempo le dimissioni. In questo caso si potrebbero verificare dei paradossi: se un’azienda ha proceduto alla sostituzione immediata del dipendente dimissionario con una nuova assunzione, si troverebbe a doverne gestire due, il neoassunto e il dimissionario pentito. Se inoltre il dimissionario ritenendo di aver rispettato le regole e le prassi, informali e telematiche, dovesse non presentarsi sul posto di lavoro, essendo ancora dipendente dell’azienda verrà accusato di infrazione per abbandono del posto di lavoro. E l’azienda, per tagliare la testa al toro, potrebbe persino licenziarlo per ragioni disciplinari.

Su Repubblica lo stesso tema è trattato da Rosaria Amato che sottolinea la complessità della norma ma ricorda che quella precedente si è mostrata inefficace:

Una procedura complessa, ma che dovrebbe eliminare alla radice ogni possibilità di far firmare in anticipo una lettera di dimissioni al lavoratore (più spesso alla lavoratrice) da rendere poi valida nel momento in cui ci si voglia sbarazzare del dipendente per vari motivi (i più comuni sono matrimonio e gravidanza). Non ci sono dati recenti attendibili sul fenomeno delle dimissioni in bianco, tuttavia un rapporto Istat del 2011 parlava di 800 mila madri costrette a lasciare il lavoro tra il 2008 e il 2009. Una piaga che non è stata ignorata dal legislatore: la norma 188 del 2007, varata dal governo Prodi, fu approvata quasi all’unanimità su iniziativa di tutte le parlamentari di ogni partito, ma abrogata poco dopo dal governo Berlusconi. Una nuova normativa è stata introdotta nel 2012 dalla legge Fornero, ma si è rivelata poco efficace: «La procedura Fornero – spiega Valentina Pomares, giuslavorista e partner dello studio Eversheds – richiedeva la convalida delle dimissioni in sedi protette. Però se il lavoratore non le convalidava dietro invito del datore di lavoro, dopo sette giorni si consideravano comunque efficaci.
Probabilmente questa procedura non ha scalfito il fenomeno». La nuova norma invece interviene in via preventiva. Certo, osserva Pomares, nonostante il decreto abbia come oggetto principale la semplificazione normativa, «ha un pochino complicato questa procedura: i lavoratori devono dotarsi del Pin, le credenziali di accesso arrivano con una raccomandata, probabilmente sarà necessario l’intervento dei patronati». Ma una volta tanto si tratta di una complicazione in nome di una buona causa.