Doping, bufera sul Coni: “No controlli agli atleti che puntavano alle medaglie”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 26 Settembre 2014 - 09:16 OLTRE 6 MESI FA
Doping, bufera sul Coni "Nessun controllo agli atleti che puntavano alle medaglie"

Alex Schwazer (LaPresse)

ROMA – Alex Schwazer fu davvero l’unico italiano a doparsi prima delle Olimpiadi del 2012? È una domanda, questa, alla quale mancherà per sempre una risposta certa. Perché l’apparato antidoping messo in piedi dal Coni, sostengono i carabinieri del Ros e del Nas, nei sei mesi prima dei Giochi fu soltanto “una questione di facciata”, tanto che “non furono disposti controlli nei confronti della totalità o quasi dei propri atleti di punta candidati alle medaglie”.

Nessuno dei 292 partecipanti alla spedizione azzurra, tornata da Londra con 8 ori e altre 20 medaglie, fu sottoposto veramente al rigido protocollo ordinato dalla Wada, l’Agenzia antidoping mondiale. “Il sistema italiano — si legge nell’informativa di 406 pagine agli atti dell’inchiesta di Bolzano — è stato ridotto a una totale messinscena”, degradato a “rituale amichevole, privo di sanzioni”. Documento che diventa così il più poderoso e argomentato j’accuse mai lanciato al governo dello sport. Di tutto lo sport, non solo l’atletica.

Scrivono Giuliano Foschini e Fabio Tonacci su Repubblica:

In Italia le ispezioni antidoping per i professionisti di alto livello sono gestite dall’Agenzia Coni-Nado, formalmente indipendente (perché si appoggia a un comitato esterno di esperti) ma in realtà, secondo gli investigatori, «promanazione diretta del Comitato Olimpico», con il quale condivide gli uffici al Foro Italico. “Dettaglio” che assume, dunque, i contorni di un enorme conflitto di interessi. Ma c’è di più. L’intero sistema di monitoraggio fuori dai giorni della gara si basa su un tassello solo. La reperibilità degli atleti. Soltanto così è possibile organizzare i controlli a sorpresa di sangue e urine, gli unici veramente efficaci. Per questo motivo tutti gli atleti di ogni disciplina ogni tre mesi hanno l’obbligo di inviare a Coni-Nado un “form” in cui indicano, giorno per giorno, il luogo in cui si troveranno nel successivo trimestre. Se qualcuno accumula in 18 mesi tre ritardi nell’invio del modulo (la cosiddetta “mancata notifica”), o se salta un test per tre volte senza motivi validi, viene squalificato. Lo prevede il Codice internazionale della Wada. Tassativo.

Ma di tassativo, per il Coni-Nado, c’è poco o niente. I carabinieri se ne rendono conto quando trovano nei loro server migliaia di mail spedite agli iscritti di tutte le federazioni, non solo a quelli dell’atletica, su cui finora si è concentrata l’inchiesta del procuratore di Bolzano. «Tra il primo trimestre 2011 e il secondo trimestre 2012 — riportano nell’informativa — in Italia 38 atleti o atlete (appartenenti alla Fidal, ndr) avrebbero potuto essere squalificati avendo commesso almeno 3 mancate notifiche ». Invece le squalifiche sono state zero. D’altronde il 21 luglio 2012, a cinque giorni dall’inizio dei Giochi di Londra, era proprio un dirigente del Coni a segnalare che «tutti gli atleti della Fidal, salvo due, non erano in regola nella notifica». Cosa aveva fatto il Coni-Nado fino ad allora?

Praticamente niente, se non mandare mail di questo tenore. «Il Comitato Olimpico ci ha fatto rilevare in via ufficiosa e con questo dimostrando ancora la massima tolleranza che ad oggi molti di voi non ottemperano ad aggiornare il proprio whereabouts (il modulo della reperibilità, ndr)». Niente di più che «gentili lettere di sollecito». Indizi però dell’esistenza di quello che gli inquirenti chiamano «sistema Coni»: una prassi collaudata per ridurre, «con la complicità della Fidal e di diverse altre federazioni sportive », il rigidissimo codice antidoping internazionale a innocuo «rituale amichevole e privo di sanzione ». Prassi che ha un corollario: «Ha chiaramente fatto intendere agli atleti malintenzionati che l’intero apparato antidoping era più di facciata che di reale sostanza. Infatti, in un numero estesissimo di casi, le notifiche sono state trasformate in evento discrezionale ».

Nel goffo tentativo di giustificare l’ingiustificabile, Bernardino Arigoni, che del Comitato controlli del Coni-Nado era il segretario (non è indagato), davanti ai militari ha ammesso che «non era in grado di assegnare le infrazioni per mancanza di personale». In effetti tre soli impiegati, dipendenti del Comitato olimpico, a gestire giorno e notte le notifiche, gli avvisi, la reperibilità di 6000 atleti di 42 federazioni diverse, sono un po’ pochi. «L’entità e la composizione del Coni-Nado — ha specificato ai pm Stefano Bovis, allora nel ruolo di vice direttore generale di Coni Servizi — sono state decise ai massimi livelli e sempre con diretto riferimento a Raffaele Pagnozzi». Pagnozzi, il potentissimo segretario generale Coni negli anni della presidenza Petrucci. Sentito da Repubblica, si difende: «Durante i nostri mandati abbiamo aumentato il personale che si occupava di doping, e gli atleti olimpici sono controllati anche dalle federazioni internazionali. Se illeciti ci sono stati, li ha fatti l’Agenzia nella sua autonomia. D’altronde — dice — non siamo indagati noi ex dirigenti del Coni. Anche se forse l’avrei trovato più onesto: lanciare fango senza accuse specifiche non ci dà la possibilità di difenderci in un processo » (…)