Dov’è l’austerità se la spesa cresce?

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Aprile 2015 - 10:59 OLTRE 6 MESI FA
Dov'è l'austerità se la spesa cresce?

Dov’è l’austerità se la spesa cresce?

ROMA – Dov’è l’austerità se la spesa cresce? Osservando lo scenario economico italiano, in attesa di una ripresa che si annuncia più annunciata che reale, l’editorialista Guglielmo D’Occam de L’Eco di Bergamo, propone una utile riflessione su due nomi/concetti ad alto rischio di fraintendimento che affollano le piazze mediatiche: quantitative easing e austerity.

Sul primo, la grande iniezione di liquidità immessa dalla Bce e che dovrebbe incentivare le banche a riprendere il suo mestiere e cioè prestare denaro a famiglie e imprese, c’è il problema antico della poca capitalizzazione degli istituti italiani e quello attuale per cui anche con tassi d’interesse bassi le imprese non chiedono prestiti per far passare ‘a nuttata, come si dice. “Non vedono prospettive attraenti per impegnarsi in investimenti ed assunzioni. È un vecchio proverbio, ma perché il cavallo si abbeveri, non basta l’acqua, bisogna che abbia sete”.

Ma è sul malinteso senso accordato alla parola austerity che D’Occam preferisce insistere. Quale austerità se nel frattempo la spesa pubblica non diminuisce neppure di uno zero virgola?

Può darsi, quindi, che la domanda aggregata non trovi nel Qe un forte stimolo. Accanto alla politica monetaria andrebbe affiancata quella fiscale, cioè minori tasse o maggiore spesa pubblica. È una soluzione che ha dimostrato efficacia fin dalla Grande crisi del ’29 e che in Europa, però, a causa delle regole di Maastricht è venuta mancare.

Ecco che compare il nemico, cioè l’austerity e l’insensatezza di regole automatiche, come quella che vincola il deficit pubblico al 3% del Pil. Hanno ragione quegli economisti che sostengono che in Europa sarebbe necessario un rilancio degli investimenti pubblici e un momentaneo abbandono del vincolo di bilancio per i Paesi in recessione […]

Purtroppo, se per l’Europa è sensato affiancare al Qe politiche fiscali espansive, il caso italiano rappresenta un’eccezione, visti i livelli molto elevati del debito pubblico. In tutta franchezza, sostenere che il nostro Paese è stato vittima dell’austerity fa un po’ specie, visto che in tutti questi anni il livello della spesa pubblica è rimasto molto elevato. Non è un più alto deficit pubblico ciò che serve al nostro Paese per uscire dalla crisi. Sono altre le condizioni necessarie per il rilancio dell’Italia.

Prima, la competitività delle imprese italiane deve aumentare: questa è la condizione fondamentale perché il tenore di vita degli italiani torni ad crescere. Seconda, è necessario ridurre la spesa pubblica e questo significa che molti italiani, che vivono di impieghi pubblici inutili, di pensioni ingiustificate e di appalti dello stato inefficienti, dovranno imparare a vivere di attività più produttive. Si tratta di un’ampia riconversione della macchina statale, ma anche dell’industria privata.

Infine, bisogna fare i conti col debito pubblico: i livelli che ha raggiunto sono insostenibili. Sono temi complessi, la cui soluzione richiederà anni e non gioverà alla popolarità di chi avrà il coraggio di affrontarli. Certamente poco si prestano ad essere trattati coi 140 caratteri di Twitter tanto cari al premier ed ai politici italiani. (Guglielmo D’Occam, L’Eco di Bergamo).