Emoji, sono troppe e…25% utenti sbaglia interpretazione

di Redazione Blitz
Pubblicato il 22 Aprile 2016 - 16:57 OLTRE 6 MESI FA
Emoji, sono troppe e...25% utenti sbaglia interpretazione

Emoji, sono troppe e…25% utenti sbaglia interpretazione

ROMA – C’è quella che sorride, quella maliziosa, quella arrabbiata e ancora l’applauso. Le emoji ormai sono troppe e non sempre capiamo il loro significato. Può accadere così che inviamo una emoticon rischiando fraintendimenti col nostro interlocutore.

Simone Cosimi su Repubblica riporta lo studio del GroupLens Research dell’università del Minnesota, redatto in attesa della prossima edizione della conferenza sui social media Icwsm, che evidenzia come non sempre capiamo il significato delle emoji che riceviamo, soprattutto se si inviano tra piattaforme diverse, ad esempio da Apple a Google o Microsoft:

“Questo perché, come gli utenti sanno bene, le onnipresenti faccine che ormai utilizziamo in sostituzione del testo nei programmi di messaggistica e che da poco si sono arricchite di nuovi oggetti e protagonisti, variano resa estetica a seconda dei sistemi operativi, da iOS alle diverse versioni di Android personalizzate dai produttori fino a Windows 10. E se le emoji dovrebbero essere, secondo alcuni, “l’inglese del futuro” perché in grado di consentire la comprensione fra persone che parlano idiomi diversi superando ogni barriera linguistica, siamo messi male.

A sorpresa, un’altra emoji estremamente fraintesa sotto l’aspetto emotivo è anche una di quelle più usate, la faccina che lacrima dal ridere. Seguono quella che piange a catinelle, e che in effetti differisce molto fra i vari sistemi, la scimmietta che si copre gli occhi, l’emoji sonnolenta (con le “zzz” di fianco, fra le meno comprese anche sotto il profilo semantico) e anche un’altra della varia gamma di quelle sorridenti ma non troppo.

Ci lascerebbero perplessi anche quella con la linguetta che fa capolino al lato della bocca e quella triste con tanto di lacrimuccia, che su Samsung assume per esempio un’impostazione ben più drammatica che altrove. Meno dubbi, invece, per quelle amorose: pochi fraintendimenti per l’emoji con gli occhi a forma di cuore, per quella che strizza l’occhiolino, per il sorrisetto, per quella perplessa o quella lamentosa.

Insomma, a una prima analisi parrebbe che – specialmente da piattaforma a piattaforma e sotto il profilo dell’emozione espressa – ci perdiamo per strada guarda caso con le sfumature. Cioè con le emoji che vorrebbero farsi portatrici di sentimenti fluidi, non troppo netti, ma che a causa della loro impostazione grafica finiscono in realtà per produrre un cortocircuito semantico. D’altronde, a chi non è capitato di inviare un’emoji e ricevere una risposta non del tutto coerente con le attese?

Ovviamente le emoji hanno significati di per se stessi elastici, che si legano al contesto della conversazione in corso e che questa indagine non poteva considerare. Tuttavia questo è vero in particolare per gli oggetti. Se invece scambiamo per negative delle faccine tendenzialmente positive e viceversa, o se andiamo in tilt per una lacrima, allora abbiamo un preoccupante problema di comunicazione. Utilizzando un sondaggio online, il team composto da Hannah Miller, Jacob Thebault-Spieker, Shuo Chang, Isaac Johnson, Loren Terveen e Brent Hecht? Ha infatti chiesto agli utenti di stabilire la propria interpretazione di 22 fra i caratteri Unicode più popolari nelle cinque piattaforme principali. Le due domande puntavano proprio a scavare nella variazione dell’interpretazione in termini di sentimento (“quanto ritieni positiva questa emoji?”) e di semantica (“che cosa significa questa emoji?”). Il risultato? Solo il 4,5% dei simboli esaminati hanno fatto registrare un basso livello di disaccordo. Al contrario, nel 25% dei casi i partecipanti non si sono trovati d’accordo sul significato né sulla resa emotiva dell’emoji analizzata. Se fosse cioè positiva, neutra o negativa. Un risultato verificato all’interno dello stesso sistema operativo, quindi ad esempio da utente a utente Apple. Saltando lo steccato delle piattaforme, il tasso di equivoco si è ovviamente impennato.

L’indagine sembra per giunta spalancare scenari ben più caotici: “Abbiamo studiato 22 fra le più popolari emoji antropomorfe ma in circolazione ce ne sono 1.282, incluse quelle senza elementi umani – si legge nel paper – così come abbiamo preso in esame le cinque piattaforme più popolari. Ma ce ne sono almeno 17 con le loro emoji specifiche. Infine, abbiamo analizzato solo una versione di ogni emoji per ciascuna piattaforma, anche se gli utenti non usano costantemente la stessa versione del sistema operativo. Ad esempio, le emoji di Android 4.4 sono sensibilmente diverse da quelle della quinta versione, a loro volta differenti da quelle di Android 6.1 usate nello studio. Impossibile studiare tutte le versioni di emoji”. Possibile, invece, immaginare il potenziale livello di confusione.

Il problema non è solo fra una piattaforma e l’altra. Su iOS di Apple, per esempio, le più equivocate in termini di ricaduta emotiva sono l’emoji piangente, la famigerata faccina che mostra i denti con gli occhi strizzati e le mani che vorrebbero indicare “relax”, nella top 3 anche per LG e Google. Sempre su quest’ultima, al contrario, sono i vari mostriciattoli con la lacrima o con le gote rosse a lasciarci perplessi. In termini di significato, invece, gli amanti dell’iPhone non capiscono il volto deluso e perplesso, ancora quello che digrigna i denti (in assoluto il più frainteso, usatelo di meno) e il sorrisetto increspato. In generale, da Microsoft alle altre piattaforme, anche in questo caso sono le emoji con rese intermedie e sfumate a lasciarci sospesi. A confermare che se abbiamo qualcosa di chiaro da dire con le emoji vale la pena utilizzarne una piuttosto marcata, per fugare ogni dubbio. Altrimenti conviene spendere qualche parola e tentare di spiegare a lettere che cosa si sta provando. Invece di affidarci a una faccina che potrebbe tardirci.

La soluzione? Il consorzio Unicode dovebbe fare qualche sforzo in più con produttori e sviluppatori: “Le nostre scoperte suggeriscono che gli utenti non potrebbero che beneficiare dalla convergenza del design fra le varie piattaforme – si legge ancora nell’indagine dell’ateneo del Minnesota – il fatto che i caratteri siano mappati e compatibili sui vari sistemi non significa che l’interpretazione sia altrettanto standardizzata. Far convergere questa resa estetica potrebbe ridurre la variazione e abbattere le contraddizioni della comunicazione. Ma è pur vero che un elevato livello di fraintendimento rimane anche all’interno delle stesse piattaforme, quando le persone si trovano di fronte agli stessi identici simboli. L’ipotesi è che vi sia una sorta di compromesso quando ci si trova ad analizzare un’emoji di sfumatura. Compromesso che spesso conduce a un’ampia gamma di interpretazioni sbagliate”.