Europa. Renzi e Berlusconi: immagine Italia, divertenti ma non credibili

Pubblicato il 22 Marzo 2014 - 18:02 OLTRE 6 MESI FA
Europa. Renzi e Berlusconi: immagine Italia, divertenti ma non credibili

Renzi e Berlusconi. Parla il discepolo, il maestro osserva compiaciuto

La demagogia populista e peronista di Matteo Renzi è tutta nella battuta che il suo obiettivo è “far sorridere le famiglie italiane”, non i due leader europei, Herman van Rompuy, presidente del Consiglio europeo e José Barroso, presidente della Commissione i quali “sono in scadenza di mandato”, come riporta Stefano Feltri sul Fatto:

“In questi due giorni Renzi ha fatto poco per rassicurare i suoi interlocutori europei che sono ammirati dalla forza politicadel giovane leader, ma un po’ perplessi sulla sua disinvoltura contabile. L’idea di scorporare la spesa per il cofinanziamento dei fondi strutturali dal deficit (cioè il contributo dell’Italia ai progetti europei) non è un tabù a Bruxelles”.

La filosofia dichiarata è quella inconfessabile di Berlusconi: le corna dietro la testa degli altri leader o le battutacce sulla Merkel per fare contenti quelli dei bar della nebbiosa Padania. Matteo Renzi ne è una versione più popolare e normale, ma non meno pericolosa per immagine dell’Italia all’estero.

Destino infame il nostro, fra intrattenitori brillanti e cupi servitori del dogma europeo, amati all’estero ma disastrosi per noi senza nemmeno farci ridere.

Siamo un gran popolo, da Berlusconi a Mario Monti, da Monti a Enrico Letta e oggi tutti nelle braccia di questo spudorato boy scout che è Renzi. Speriamo solo che all’estero non si accorgano troppo presto del bluff.

Stefano Feltri, giovane ma uno dei pochi giornalisti con quel tanto di spirito critico che gli fa vedere qualcosa oltre l’apparenza, riferisce della tournée di Matteo Renzi a Bruxelle con un misto di ironia, amarezza, sarcasmo:

Il Fiscal compact è

“un impegno che il nostro Paese ha preso e come tutte le regole che ci siamo dati confermiamo l’impegno”.

Alla fine, commenta Stefano Feltri,

“è soltanto questa frase che conta: in Parlamento il premier Matteo Renzi aveva definito “anacronistico” il vincolodel deficit al 3 per cento del Pil (è di vent’anni fa), ma a Bruxelles promette di rispettare la gabbia più contemporanea, quella che impone fin nella Costituzione il pareggio in bilancio.

E per rispettarlo subito bisognerebbe fare quella correzione di bilancio da 4-5 miliardi di euro strutturali che la Commissione europea chiede, inascoltata, da mesi. […Nella sua conferenza stampa finale] Renzi parla soprattutto del semestre di presidenza italiano che comincerà a luglio, di quello che il governo vuole fare, di tutte le occasioni che ci saranno per incontrare gli altri leader, sei mesi che devono diventare “l’occasione di una grande scommessa sull’Europa”. Risultati che può vantare dalla due giorni europea: nessuno concreto, ma “non siamo mica venuti qui a farci dare la bollinatura alle nostre riforme”.

Ma preoccupa il fatto che la priorità del premier non sembri affatto rilanciare i progetti di infrastrutture che con quel trucco contabile si potrebbero finanziare, ma guadagnare margini di manovra per tagliare le tasse prima delle elezioni europee.

E vistoche tuttala credibilità delle coperture delle promesse renziane si fonda sulla revisione della spesa, attaccare il commissario Carlo Cottarelli nella conferenza stampa di Bruxelles non è stata forse la scelta tattica migliore.

“Il piano di Cottarelli è un buon punto di partenza”, ha detto Renzi, che poi ha subito precisato: “Ma alcune cose non mi hanno convinto”. Tipo l’ipotesi di intervenire sulle pensioni, che Cottarelli continua a riproporre. La scelta di spostareil commissariodal Tesoroa palazzo Chigisembra sempre di piùun modo per ridurlo al rangodi consulente (qualche giorno fa l’aveva retrocesso a “commercialista”) che offre suggerimenti, non certo prescrizioni”.

Sulle pensioni Cottarelli è sospetto, il suo accanimento è ingiustificato se non da qualche recondita ragione in un Paese dove si buttano i miliardi nelle Regioni a statuto speciale, nella tutela di dialetti e lingue fuori l’italiano, in attività culturali al limite del ridicolo, in Istituti di cultura all’estero che servono solo a piazzare e premiare gli amici e gli amici degli amici.