Fabrizio Quattrocchi, eroe scomodo e dimenticato da dieci anni

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Aprile 2014 - 10:23| Aggiornato il 22 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA
Fabrizio Quattrocchi, eroe scomodo e dimenticato da dieci anni

Fabrizio Quattrocchi

ROMA – “Ammetterlo fa molto male eppure a dieci anni dal suo as­sassinio l’Italia s’è dimenticata di Fabrizio Quattrocchi. Gli hanno dedicato qualche piaz­za, ma poi tutto è finito lì. Di Fa­brizio non c’è più memoria. Nessuno sembra volerlo ricor­dare”. Dieci anni dopo esser sta­to barbaramente trucidato in Iraq, dieci anni dopo essersi strappato il bavaglio e aver urla­to ai propri assassini “ Vi mostro come muore un italiano”, Quat­trocchi rischia di esser dimenti­cato dalla stessa patria a cui ha dedicato gli ultimi istanti della propria vita.

Per il governo e le istituzioni italiane Fabrizio Quattrocchi è ormai un illustre sconosciuto. Un caduto scomo­do e dimenticato. Un morto in­degno d’esser ricordato. C

Salvatore Stefio, ex compagno di prigionia in Iraq dove Quattrocchi fu ucciso dagli insorti nel 2004, parla al Giornale:

«Lo ricorderemo io, Maurizio e Umberto Cupertino riunendo­ci con la sorella davanti alla tomba di famiglia a Genova. Sa­rà una cerimonia intima e priva­ta. Del resto il mancato ricordo rientra nel clima di questo pae­se. Non è neppure una novità».

Eppure Quattrocchi è meda­glia d’oro al valore civile de­corato da Azeglio Ciampi.

«In Italia molti ci reputano so­lo mercenari interessati ai sol­di. Penso sia un atteggiamento motivato politicamente».

La Corte d’Assise di Roma ha anche sentenziato che l’ese­cuz­ione non fu un atto di ter­rorismo.

«Lo so e ne sono rimasto indi­gnato. Ancora non mi spiego co­me sia stato possibile pronun­ciare quella sentenza. Non tro­vo motivazioni logiche».

Cosa successe quel giorno?

«Non immaginavamo nulla. Erano passate 48 ore dalla cattu­ra ed eravamo stati trasferiti in una seconda prigione. Erava­mo seduti a terra in una stanza completamente vuota e spo­glia con una finestra oscurata da una pesante tenda. Ci aveva­no già prelevato per interrogar­ci, quindi quando vennero a prenderlo non pensavamo vo­lessero ucciderlo».

Qual è l’ultimo ricordo di Fa­brizio?

«Ricordo il suo sorriso. Quan­do vennero a prenderlo lui si al­zò e ci salutò con un sorriso. È l’ultima immagine di lui. Me la porterò dentro per sempre».

Quando capiste che era sta­to ucciso?

«Solo una volta libero appre­si le circostanze della sua mor­te. Le raccontò chi fece arrivare all’intelligence le coordinate della nostra prigione. Gli altri ci avevano sempre detto di averlo rilasciato. Quando mi dissero di quell’ultima sua frase pro­nunciata da­vanti agli as­sassini non fa­ticai a creder­ci. Una sola settimana con lui mi è ba­stata p­er capi­re di che pasta era fatto: gene­roso, pronto a sacrificarsi per quello in cui credeva».

Perché pro­prio lui?

«Me lo sono sempre chiesto. Lui non era stato né irruente, né provocatorio. Si comportò co­me tutti noi. Forse presero lui perché aveva il tesserino rila­sciato dalle autorità americane mentre noi non avevamo anco­ra ritirato i nostri. Forse presero il primo che capitava perché avevano delle rivendicazioni politiche e volevano dimostra­re di far sul serio».

Un misterioso Yussuf rac­contò al «Sunday Times» di aver partecipato all’assassi­nio di Fabrizio. Pensa lo stia­no ancora cercando?

«Durante il primo periodo della prigionia era sempre con noi. Parlava un discreto italia­no e non era iracheno. Probabil­mente veniva dal nord Africa e sembrava conoscere l’Italia. Abbiamo raccontato tutto ai ca­rabinieri, ma non so se sia mai stato identificato. E non so se qualcuno lo stia cercando».

Ha mai guardato il filmato dell’uccisione?

«L’ho guardato e ho provato tanta rabbia, ma adesso è diver­so. Ho deciso di trasformare quell’esperienza in qualcosa di utile. Organizzo corsi di soprav­vivenza in cui in­segno ad affron­tare situazioni di prigionia simi­li a quelle provate in quei 58 giorni. È il mio modo per ricor­dare Fabrizio e donare un po’ della sua memoria agli altri».