Giorgio Almirante. 100 anni, dal Duce al Msi, poi Fini: “Buccia, non il resto”

Pubblicato il 28 Giugno 2014 - 00:52 OLTRE 6 MESI FA
Giorgio Almirante. 100 anni, dal Duce al Msi, poi Fini: "Buccia, non il resto"

Giorgio Almirante, al centro, sfila in corteo. Doetro di lui, con l’impermeabile bianco, un giovane che somiglia molto a Gianfranco Fini

ROMA – Giorgio Almirante nacque 100 anni fa, il 27 giugno 1914 a Salsomaggiore da una famiglia di origine nobile molisana. Per molti anni fu segretario del Movimento Sociale Italiano, Msi, il partito neo fascista che diede voce politica ai nostalgici del fascismo e della Repubblica di Salò e a chi, in un modo o nell’altro, era legato al fascismo.

Fu un protagonista della vita politica italiana in Parlamento e nelle piazze. Un suo comizio raramente si concludeva senza sassaiole con attivisti comunisti e cariche della polizia, spesso non si teneva nemmeno.

Per una notizia di poche righe che il direttore Giorgio Fattori rifiutò di togliere dal giornale, la Stampa di Torino, a fine anni ’70, non uscì per uno sciopero dei giornalisti che non volevano fosse dato l’annuncio.

Per un congresso del Msi, convocato a Genova, città antifascista e partigiana per eccellenza e medaglia d’oro della Resistenza, situazione aggravata dalla presenza al congresso di un prefetto della Repubblica Sociale a Genova durante l’occupazione nazista, mentre il Movimento Sociale Italiano stava per dare il suo appoggio “esterno” al Governo di Fernando Tambroni, diecimila portuali genovesi sfilarono dal porto al centro della città e si scontrarono con la polizia, senza morti ma con quasi 200 feriti; pochi giorni dopo altri scontri in piazza a Reggio Emilia ci furono 5 morti.

Erano anni caldi per la guerra fredda e rievocare quel clima, protrattosi fino agli anni ’80, fornisce un’idea di come sia cambiata l’Italia nell’ultimo ventennio, che ha visto vari esponenti dell’ex Msi diventare ministri e arrivare con Gianfranco Fini alla seconda carica dello Stato senza rivolte né tensioni; anzi a un certo momento della sua evoluzione, Gianfranco Fini, quando si ribellò al dominio di Berlusconi, diventò anche un beniamino della sinistra.

La figura di Giorgio Almirante è stata rievocata sul Giornale dei Berlusconi da Marcello Veneziani, che lo ha definito

“un piffe­raio magico”.

Secondo Marcello Veneziani, Giorgio Almirante

“ebbe una visione epica ed estetica della politi­ca, più che ideologica o strate­gica. Il Parlamento e la Piazza erano il suo habitat naturale, o i loro succedanei, il Partito e la Tv. Chiamatelo pure fasci­sta, lui non ne sarebbe offeso. Ma è difficile immaginare Al­mirante fuori dal Parlamento e dalle piazze, fuori dalla pole­mica politica e dalla contesa elettorale, dalla dialettica e dalla caccia al consenso. Cioè fuori dalla libertà e dalla de­mocrazia. Almirante non la­sciò eredi, ma un cospicuo pa­trimonio ideale, politico e im­mobiliare a una destra che del suo Msi ha ereditato solo le litigiose correnti. Ma il mon­do è c­ambiato e Almirante ap­pare quasi antico. Non santifi­catelo, come hanno fatto con Berlinguer; piuttosto conside­ratelo tra i classici della politi­ca nella storia della Repubbli­ca italiana”.

Giorgio Almirante, scrive Marcello Veneziani,

“incantava con la sua voce suadente e penetrava col suo sguardo di perla, toccava con delicata maestria le corde dell’udi­torio. Lo infiammava col fascino del proibito, l’epopea dei vinti e il cari­sma della nostalgia.

Tradusse il fa­scismo in fascinazione allusiva. Per i missini fu l’officiante della destra sociale e nazionale, tra il mito e la storia.

Non aveva cultura politica e ideologica, ma letteraria. Non Gen­tile o Evola, ma Dante e d’Annun­zio. Amava l’italiano,come lingua e come popolo. Non primeggiava instrategia politica e progetti lungimiranti, non aveva atti­tudine di governo, ma ave­va nel sangue la politica co­me teatro, persuasione e li­turgia della parola. Non ave­va la schietta umanità di Ro­mualdi né la lucidità politi­ca di Michelini o de Marzio, ma riusciva più di tutti a farsi amare dal popolo di destra e a farsi ammi­rare da chi non lo votava.

Fu il più grande oratore della Repubblica ita­liana, fluente in Parlamento e ma­gnetico nelle piazze, gremite di gen­te e di tricolori e nei primi tempi bohémien , in avventurosi comizi su camion e tavolini fin nelle più sperdute perife­rie. Fu un gran giornalista e diventò il primo leader tele­visivo di successo. Nessun democristiano o comunista bucava il video come lui.

Amava le donne, Mussolini e la Juventus e aveva la civetteria del­la superstizione […] e lo ricordiamo come il pa­roliere d’Italia, unico leader politico che suscitava l’amor patrio in un Paese che si vergo­gna di se stesso.

Quale fu il disegno politico di Almirante? Per comincia­re, Almirante proveniva dalla Repubblica sociale e si senti­va più di sinistra nazionale che di destra. Una volta gli chiesero cosa sarebbe stato se non fosse esistito l’Msi e lui disse: socialdemocratico.

Quando diventò segretario dell’Msi, alle soglie degli anni Settanta (lo era già stato per un breve periodo agli inizi), compì la svolta. Collocò netta­mente il suo partito alla de­stra, cavalcò battaglie da par­tito d’ordine, fino ad affianca­re la storica sigla missina alla dicitura «Destra nazionale».

Ebbe un grande successo alle elezioni amministrative del ’71 e poi allepolitichedell’an­no dopo, moltiplicò la militan­za e riempì le piazze. Sognò una destra nazionale che su­perasse l’originario neofasci­smo pur senza abiurarlo – se­condo la formula di Augusto de Marsanich «non rinnegare non restaurare» – e che si aprisse ai monarchici, alla de­stra liberale e democristiana, ai partigiani bianchi. Il parti­to monarchico confluì nella destra nazionale.

Quel proget­to poi culminò nella Costi­tuente di de­stra, che fece presiedere a un partigia­no cattolico, Enzo Giac­chero.

Ma il pro­getto di Almi­rante fu ag­gredito da una risorta mobilitazio­ne antifasci­sta, guidata dal Pci ma te­orizzata dal­la sinistra Dc tramite l’Arco costituzionale (il conio fu attribuito a De Mi­ta).

L’Msi fu ricacciato nel ghetto, fu resa difficile se non impraticabile la sua vita politi­ca, vi fu in tutta Italia una cam­pagna intimidatoria verso chi si professava di destra o solo agitava il tricolore. E allo sco­po servirono pure le stragi im­punite degli anni Settanta che ricaddero sul partito di Al­mirante benché fosse la prin­cipale vittima di quel clima da caccia alle streghe. L’aria si fe­ce irrespirabile e molti missi­ni uccisi lo stanno a dimostra­re.

Poi la sconfitta al referen­dum sul divorzio nel ’74, quando l’Msi affiancò la Dc di Fanfani, dette un colpo duris­simo alla strategia d’inseri­mento anche se i voti missini, soprattutto per le elezioni del Quirinale, erano poi richiesti sottobanco. Ma il colpo di gra­zia arrivò con la scissione di Democrazia nazionale, quan­do i due terzi della classe diri­gente dell’Msi lasciarono Al­mirante, anche molti dei suoi sodali più cari.

Perse i presi­denti dei gruppi parlamenta­ri, la guida della Cisnal, sinda­cato fiancheggiatore, il Bor­ghese di Mario Tedeschi. La scissione, al di là del pressing politico esterno, nasceva dal desiderio di rimettere la de­stra nel gioco politico nel qua­dro di un bipolarismo com­piuto. Ma l’operazione non riuscì, e alle successive elezio­ni politiche Almirante spazzò via i fuorusciti e si confermò leader unico della destra ita­liana, con un antagonista in­terno, Rauti, un rivale frater­no, Romualdi, e qualche figu­ra di spicco che non temeva di criticare il capo e la sua linea, come Staiti, Mennitti e soprat­tutto Niccolai.

Crebbero in quegli anni ten­tazioni eretiche come la Nuo­va destra e il socialismo trico­lore. Almirante si trovò spes­so in conflitto con le menti cul­turali della destra italiana (io stesso una volta fui da lui defi­nito «un carissimo nemico» e non mancarono conseguen­ze). Almirante vinse la sfida con i fuorusciti ma il suo pro­getto nel frattempo era nau­fragato. Vi fu un ritorno di fiamma, in tutti i sensi, che culminò in un rilancio alle ele­zioni politiche del 1983.

Vi fu un primo tentativo di sdoga­nare l’Msi ad opera di Bettino Craxi. Pur nell’isolamento, Al­mirante lanciò campagne po­litiche di grande effetto. La lot­ta alla partitocrazia e alla cor­ruzione, assai prima che Ber­linguer ponesse la Questione Morale, la battaglia sulla pe­na di morte, la linea dura con­tro la criminalità comune e an­che politica (auspicando di doppiare la pena di morte per i terroristi neri) e soprattutto la riforma istituzionale e la proposta presidenzialista. Che in verità era stata rilancia­ta prim­a da Pacciardi e non di­spiaceva a un gruppo di parla­mentari dc, ma Almirante ca­valcò quell’idea in solitudine per molti anni.

Con la nascita del Parlamento europeo, Al­mirante pensò anche a un’eu­rodestra, speculare all’euro­comunismo di Berlinguer, e trovò alleati soprattutto in Spagna e in Francia. Le Pen fu suo amico e alla fiamma missi­na s’ispirò per il simbolo del Front national.

Qualcuno sostiene che fra gli errori dell’ultimo Almiran­te vi fosse la designazione di Fini a suo successore. Col sen­no di poi è facile dirlo. Ma in quel tempo Almirante pensò a un salto generazionale, pun­tando su un giovane che non avesse un passato fascista e non provenisse dalle litigiose correnti dell’Msi (che fu un partito assai turbolento e frammentato).

E poi per un partito isolato, senza agibilità politica, pensò che il requisi­to principale del suo leader dovesse essere ancora l’orato­ria in tv e nei comizi. E quei re­quisiti Fini li aveva. La buccia c’era, il resto no…