Giovanni Gorno Tempini: “Così aiuteremo le imprese a fare sistema”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Marzo 2015 - 16:44 OLTRE 6 MESI FA
Giovanni Gorno Tempini: "Così aiuteremo le imprese a fare sistema"

Giovanni Gorno Tempini (LaPresse)

ROMA – Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti e presidente del suo Fondo Strategico Italiano, si è riunito a porte chiuse con tutti i capiazienda delle partecipate dalla stessa Cdp (dall’Eni, a Terna) e dal Fondo, oltre a una serie di altri amministratori delegati di grandi aziende che “in tutto rappresentano circa 400 miliardi di fatturato”, per lanciare una nuova fase nella strategia della Cassa: in un periodo nel quale le condizioni del credito per le aziende stanno migliorando e le prospettive dell’economia sono più ottimistiche, Gorno Tempini punta a utilizzare l’intera strumentazione del gruppo Cdp per aiutare le imprese italiane grandi e meno grandi a “fare sistema”.

L’intervista di Francesco Manacorda su La Stampa:

Da cosa nasce questo passaggio della vostra strategia?

«È la naturale evoluzione di quello che abbiamo fatto fino ad oggi: prima con Cdp, poi con il Fondo Strategico che è nato tre anni fa proprio per prendere quote di aziende strategiche con l’obiettivo di farle crescere, e infine del Fondo Italiano d’Investimento, che si pone obiettivi simili per le Pmi ed è diventato il più grande investitore di venture capital in Italia. Abbiamo sempre un ruolo da azionista che si basa su tre P – siamo pazienti, produttivi e proattivi – e vogliamo far sì che le aziende da noi partecipate crescano con un effetto positivo anche per il Paese nel suo complesso».

In che modo contate di operare?

«Quello di oggi (ieri, ndr) è stato un primo incontro, da cui sono emerse indicazioni interessanti. Vediamo due possibili linee di azione: la prima è far sì che l’esperienza di settori e filiere sia un continuo elemento di confronto e sviluppo, ripetere anche esperienze come quella appena fatta; poi inizieremo a vedere che lavoro si può fare nelle singole aree».

In concreto?

«Le faccio qualche esempio: per ogni euro che Fincantieri fattura, le imprese del suo indotto ne fatturano quattro. Vogliamo vedere se queste aziende possono lavorare al meglio, sempre nel rispetto delle regole? Oppure vogliamo capire come far nascere una filiera del settore termomeccanico basandosi sulla forza di Ansaldo Energia?».

Fare sistema significa anche promuovere aggregazioni?

«Di sicuro, ma non solo. Oltre certe dimensioni le aziende hanno evidenti vantaggi competitivi, specie in un mercato sempre più globalizzato. In Italia invece c’è una cronica sottocapitalizzazione delle imprese da cui deriva in larga parte anche il nanismo industriale del Paese. Esistono appena 23 multinazionali italiane con fatturato superiore ai 5 miliardi, rispetto alle 51 che troviamo in Francia e alle 134 in Germania. L’intervento del gruppo Cdp, con i suoi vari strumenti, può servire anche a togliere alibi a quegli imprenditori che non aprono il capitale al private equity o alla Borsa. Siamo soci non invadenti, ma attenti, e possiamo aiutare chi ha le capacità e la volontà a svilupparsi».

Ma non le pare contraddittorio questo tentativo di fare sistema nazionale mentre Finmeccanica vende Ansaldo Breda e Sts ai giapponesi, mentre i cinesi entrano nella vostra Cdp Reti e un altro soggetto cinese prende il controllo di un nome glorioso come Pirelli?

«Non credo nell’italianità a priori. Penso che ciò che va considerato è la qualità di un azionista a prescindere dalla sua nazionalità. Non mancano certo gli esempi di cattivi azionisti italiani e di buoni azionisti stranieri o viceversa. E poi, se c’è un problema in Italia è quello che finora l’attrattività per i capitali stranieri è stata inferiore a quella che sarebbe potuta essere» (…)