Giuseppe Turani. Solo 66 mila euro da 335 di costo azienda: caso tipo dipendente

Pubblicato il 9 Giugno 2014 - 10:37 OLTRE 6 MESI FA
Giuseppe Turani. Solo 66 mila euro da 335 di costo azienda: caso tipo dipendente

Giuseppe Turani: “Sotto il peso delle tasse”

Giuseppe Turani ha scritto questo articolo per Quotidiano Nazionale e lo ha pubblicato, col titolo “Sotto il peso del Fisco”, anche su Uomini & Business, la rivista che ha fondato e di cui è direttore.

Nonostante quasi tre anni di manovre, manovrine e manovrone l’economia italiana non decolla. Si discute se la crescita 2014 sarà dello 0,3 per cento o dello 0,6 per cento. In termini più elementari, visto che ora stiamo crescendo al ritmo dello 0,1 per cento a trimestre, possiamo dire che ci stiamo muovendo sul fondo del barile. Ma perché accade questo? Perché non c’è un po’ di slancio in avanti? La risposta è d’obbligo: mancano i soldi per far volare l’economia italiana. Ma non è proprio così. Il nostro problema è che siamo afflitti da uno Stato vorace e spendaccione (in parte anche corrotto).

Se infatti andiamo a studiare il problema del fisco, scopriamo una verità molto semplice e paradossale: i soldi, in realtà, ci sono, solo che se li prende lo Stato. Qualcuno ha provato, il sito “Scenari economici”, a fare due conti sulle buste paga reali. Prendiamo uno stipendio d’oro, un manager di alto livello. Alla sua azienda costa 335 mila euro all’anno, ma in realtà a lui ne arrivano solo 200 mila (il resto se ne va in contributi e imposte varie). E questa è la retribuzione lorda. Per arrivare alla netta bisogna sottrarre ancora più di 100 mila euro (assicurazioni, Irpef, ecc., a suo carico). A questo punto si ha la retribuzione netta: 88 mila euro (eravamo partiti da 335 mila). Questo signore, però, si sposta, lavora, mangia (forse fuma anche) e quindi di imposte varie lascia giù altri 23 mila euro. In tasca, alla fine, gli restano appena 66 mila euro.

Strada facendo ne ha lasciati allo Stato quasi 270 mila, almeno quattro volte quello che lui si porta davvero a casa. E la sua pressione fiscale risulta essere dell’80 per cento. A lui del magico stipendio d’oro che si è conquistato arriva solo il 20 per cento.

Si dirà: è un caso eccezionale. E’ vero. Per un impiegato da 18 mila euro lordi all’anno la pressione fiscale è più bassa: solo il 64 per cento, quasi identica alla pressione fiscale su un artigiano che porti a casa sui 20 euro lordi all’anno.

In ogni caso, comunque, chi si prende la fetta maggiore dei guadagni degli italiani è lo Stato, non i cittadini. Esagerato?

Non tanto. E’ la Corte dei conti a informarci che nel 2013 la pressione fiscale in Italia rispetto al Pil è stata pari al 43,8 per cento. Qui si tiene conto anche di tutti quelli che guadagnano così poco che non pagano tasse di nessun genere. Ma si vede che, comunque, quasi la metà del reddito se ne va allo Stato (43,8 per cento).

Sempre la Corte dei conti ci informa che la pressione fiscale italiana è salita di tre punti percentuali fra il 2000 e il 2003. Un punto percentuale in più all’anno.

Ma dove si tocca il cuore del dramma italiano è là dove la Corte dei conti dice che la pressione fiscale italiana è 4 punti percentuali in più rispetto alla media europea.

Se lo Stato riuscisse a applicare una pressione fiscale pari alla media europea, ogni anno ci sarebbero 64 miliardi di euro in più da spendere per lo sviluppo, senza fare nuovi debiti e senza chiedere soldi a nessuno. Ecco i denari per dare una scossa alla crescita: e non avremmo nemmeno da fare tanti dibattiti su come spendere questi soldi. Basterebbe lasciarli a chi se li guadagna.

Ma come si fa a tagliare la pressione fiscale di 4 punti percentuali in un colpo solo? Non si può. Però si può fare una cosa intelligente: un programma di governo che si impegni a far diminuire la pressione fiscale di un punto percentuale all’anno.

Se non si fa questo, cioè se non si tagliano un po’ le tasse, è inutile sperare in una ripresa consistente. Quando lo Stato si porta via quasi metà della ricchezza prodotta in un anno, è illusorio pensare che i cittadini poi facciano i miracoli.