Governo Letta, Ue, matrimoni gay in Francia e Franca Rame: prime pagine e rassegna stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 30 Maggio 2013 - 08:50 OLTRE 6 MESI FA

Il Corriere della Sera: “Italia promossa con riserva.” Ora illudersi è un delitto. Editoriale di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi:

Leggi anche: M5s, i numeri del flop: Roma -15%, Siena -13%, Barletta -20%

“Il rientro dell’Italia fra i Paesi «virtuosi» è stato accolto con unanime sollievo. Molti interpretano questa decisione come l’inizio di una nuova era, in cui i vincoli europei non saranno più un ostacolo all’aumento della spesa e al taglio delle tasse. Non è così.
Innanzitutto la chiusura della procedura di infrazione avviene a condizioni precise: che il deficit non superi più il 3% del Prodotto interno lordo (Pil) e che l’Italia faccia alcune riforme importanti: contratti di lavoro, partecipazione al lavoro delle donne, liberalizzazioni dei servizi, istruzione, giustizia civile, semplificazione delle tasse, banche, burocrazia. Tutte cose che avremmo dovuto fare anche senza farcelo chiedere.
L’ultimo Documento di economia e finanza (Def) del governo Monti (aprile) stima che il prossimo anno il deficit pubblico dovrebbe essere intorno all’1,8% del Pil. Se così fosse ci sarebbe la possibilità di diminuire le imposte sul lavoro di circa 20 miliardi, riducendo il cuneo fiscale, cioè la differenza fra salari netti per i lavoratori e costo del lavoro per l’impresa. Ciò alzerebbe il deficit, ma lo manterrebbe entro la soglia del 3%.
Purtroppo però, quelle stime sono basate su ipotesi ottimiste. E infatti solo poche settimane dopo la pubblicazione del Def, la Commissione europea abbassava il nostro tasso di crescita nel 2014 allo 0,7%, (ieri l’Ocse ha previsto 0,4) con un deficit che salirebbe al 2,5% del Pil. Insomma saremo fortunati se il deficit nel 2014 rimarrà sotto il 3% anche senza spendere un euro in più. Per il 2013 poi la Commissione prevede un deficit esattamente pari al 3% con un Pil che cade dell’1,3%. Ma l’Ocse stima -1,8, il che già ci porrebbe quasi sicuramente a rischio di riapertura della procedura.”

Una sinistra nervosa rende faticoso l’avvio delle riforme. La nota politica di Massimo Franco:

Leggi anche: Elezioni. Pd e Pdl hanno perso quasi 2/3 dei voti assoluti in tre mesi

“La volontà di fare le riforme istituzionali è esplicita: anche perché dal loro esito dipende quello della legislatura. Il tentativo di frenarle, però, per quanto meno vistoso è evidente. Quando il premier Enrico Letta avverte che «non è immaginabile fingere di fare le riforme, e poi litigare non combinando nulla», cita un precedente concreto: quello della legislatura passata, che si è conclusa con un frustrante nulla di fatto e ha gonfiato nelle urne il fenomeno del Movimento 5 Stelle. Ma soprattutto, indica un rischio che già si intravede. Proprio mentre ieri il presidente del Consiglio parlava al Senato di «larga condivisione» e assegnava al Parlamento il compito di cambiare la Costituzione, alla Camera un’ottantina di dissidenti anche del suo partito, il Pd, ha pensato bene di chiedere il ritorno al vecchio sistema elettorale: il cosiddetto «Mattarellum», dal nome dell’ex ministro Sergio Mattarella.
L’iniziativa è partita da Roberto Giachetti e appoggiata da deputati vicini al sindaco di Firenze, Matteo Renzi, più alcuni prodiani. Ed è stata subito incasellata come una manovra di sabotaggio contro palazzo Chigi. L’impressione, in effetti, è che finisca per indebolire il governo. Formalmente il problema dei contestatori è di riproporre un sistema maggioritario considerato in pericolo a causa del governo Pd-Pdl-Scelta civica. Già nei giorni scorsi si erano alzate voci a sinistra contro alcune modifiche della legge elettorale che tendevano, a sentire i critici, a reintrodurre subdolamente una legge di tipo proporzionale. Ma il vero tarlo di una parte del Pd è che l’esecutivo anomalo di unità nazionale possa consolidarsi.
Significherebbe andare avanti davvero per i diciotto mesi additati come obiettivo per abbozzare le riforme; e dunque ridisegnare il sistema e ottenere quella che con espressione controversa è stata chiamata «pacificazione» fra centrosinistra e centrodestra.”

La prima pagina de La Repubblica: “La Ue: l’Italia ce l’ha fatta.”

La Stampa: “Riforme, Pd sull’orlo della crisi.” I democratici e la politica dei due forni. Editoriale di Marcello Sorgi:

“Il caos che per due giorni ha accompagnato in Parlamento il rilancio delle riforme istituzionali – e per miracolo, viene da dire, s’è concluso con l’approvazione della mozione concordata con il governo ha una sola spiegazione: da sinistra e da destra, approfittando della solenne occasione fornita dal ritorno della Grande Riforma, si sono mossi due fronti contrapposti, che puntano, senza neppure nascondersi, a far cadere l’esecutivo delle larghe intese. Se alla fine è emerso di più il fronte di sinistra, è solo perché a fornire lo strumento che avrebbe dovuto servire a capovolgere gli attuali equilibri è stato il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti: un onesto deputato radicale, che la diaspora del suo partito ha condotto nelle file democratiche vicino a Matteo Renzi, e nella scorsa legislatura, a causa di uno sciopero della fame troppo prolungato contro il Porcellum, stava quasi per rimetterci la pelle. Ignaro, o secondo molti illuso, che a Montecitorio esistesse una maggioranza favorevole a cambiare la legge elettorale, a parole esecrata da tutti, Giachetti aveva presentato una mozione sostenuta da un elenco trasversale di firme di diversi schieramenti, e a tutti i costi aveva voluto porla in votazione in alternativa a quella ufficiale della maggioranza governativa.”

“Galletti rossi.” Il Buongiorno di Massimo Gramellini:

“Dice il saggio zen: la tua debolezza sarà la tua forza. Non so se al momento dell’illuminazione il saggio zen avesse in mente le correnti del Pd, però la massima buddista si adatta perfettamente al partito più caciarone del globo. Qual è il limite da sempre riconosciuto al centrosinistra italiano? Di essere un’accozzaglia di feudatari senza re, di galletti in perpetua baruffa fra loro, la cui preoccupazione principale non consiste nel cercare una strada propria, ma nel tagliare quella del vicino di pollaio. Ebbene, nel voto per pochi intimi di domenica scorsa gli unici a salvare parzialmente le ossa sono stati i galletti democratici, preferiti un po’ ovunque ai capponi della concorrenza.”

Bruno e Vincent sposi. La Francia ha detto sì. Articolo di Alberto Mattioli:

“L’ avverbio che sorge spontaneo è: finalmente. Finalmente, dopo mesi di dibattiti incendiari in Parlamento e polemiche infiammate sui giornali, maxicortei pro e contro, marce, appelli, rosari, sanpietrini, lacrimogeni, insomma dopo la maggior mobilitazione popolare francese dal Maggio ‘68, di cui del resto l’evento di ieri è figlio, due uomini «sono uniti dal matrimonio in nome della legge», come ha recitato Hélène Mandroux, sindaca di Montpellier, non usando purtroppo la formula «vi dichiaro marito e marito» che sarebbe stata più surrealmente appropriata. Comunque la si pensi, almeno è fatta. I primi coniugi dello stesso sesso della storia francese si chiamano Vincent Autin e Bruno Boileau. Anche facendo la tara alla solita magniloquenza nazionale, ha ragione madame Mandroux a dire che «la vostra storia incontra oggi quella di tutto un Paese». Loro, militanti innamorati ma anche innamorati della militanza, non hanno mai nascosto di voler fare del loro matrimonio un simbolo di quello per tutti.”

Il Fatto Quotidiano: “Se n’è andata anche Franca.” I ragazzi del coro. Editoriale di Marco Travaglio:

“L’altra sera il giornalismo indipendente ha fatto un altro passo da gigante a Ballarò con l’intervista, si fa per dire, di Giovanni Floris a Pier Luigi Bersani. Parevano due compari che si ritrovano al bar dopo tanto tempo e il più cazzaro dei due racconta all’altro che lo voleva la Juve come centravanti, ma lui ha rifiutato perché merita ben di meglio. Solo che al bar, di solito, l’altro compare guarda il cazzaro con un misto di simpatia e commiserazione, e se è molto buono lo asseconda, altrimenti gli ride in faccia. Floris invece assisteva alle bugie di Bersani con compunta partecipazione, alzandogli lui stesso la palla per aiutarlo a mentire meglio. Così lo smacchiatore di giaguari ha potuto raccontare la favola del “governo del cambiamento” con i 5 Stelle, abortito per il no di Grillo (tutti sanno che era un governo Bersani di minoranza, in cui i 5 Stelle non avrebbero avuto alcun ministro e alcuna voce in capitolo sul programma, che Bersani si era premurato di preparare in anticipo: i famosi otto punti di sutura).”

Il Giornale: “Ora Renzi prova a far cadere Letta.” Editoriale di Alessandro Sallusti:

I Pd sono già due. Quello di Epifani, che fa quadrato attorno al governo in attesa di regolare i conti al congres­so, e quello di Renzi, che a Letta di tempo non vuole darne perché semmai il giochino dell’asse col Pdl funzionasse ad­dio sogni di gloria per il sindaco di Firenze. I deputati renziani ci hanno provato ieri a creare l’incidente fatale. La vicenda è di quelle complicate e noiose, cioè la presen­tazione di una mozione che riguarda il cambio della legge elettorale non concor­data con gli alleati. Il classico giochino par­lamentare per provocare zizzania e spac­care sia il proprio partito sia le alleanze. Quel furbo di un Renzi ha davvero fretta di far cadere il governo e gioca sporco a tutto campo. Conta sulla complicità dei grillini fuori controllo, dei vendoliani col dente avvelenato nel vedere berlusconia­ni al governo, di bersaniani in crisi di iden­tità e di scalpitanti giovani pidiellini con­trari al governo Letta. Già me lo vedo, il sindaco faccia d’angelo, respingere sde­gnato le accuse da buon democristiano qual è: chi? Iooo? Ma se Letta è come un fratello! Non c’è da credergli. Renzi è un gran fi­glio di buona donna (detto con rispetto al­la madre) e nei suoi piani c’è anche quello di spaccare il Pdl. Come? Semplice: mette­re di continuo Alfano davanti a un bivio. Da una parte il dovere di lealtà al gover­no, dall’altra quella al partito di cui è se­gretario. Le due cose non sempre sono fa­cilmente conciliabili e nel Pdl cresce il nervosismo, anche nei confronti di Alfa­no, per queste continue zeppe che rallen­tano l’efficacia del governo e penalizza­no il partito.”