Grande Albania, un sogno riaccende la polveriera-Balcani. Giantin su La Stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 16 Ottobre 2014 - 10:44 OLTRE 6 MESI FA
Grande Albania, un sogno riaccende la polveriera-Balcani. Giantin su La Stampa

Grande Albania, un sogno riaccende la polveriera-Balcani (foto Lapresse)

TIRANA – Il sogno della Grande Albania dietro il caos scoppiato allo stadio di Belgrado durante la partita Serbia-Albania. Scrive Stefano Giantin su La Stampa che dietro l’invasione di campo dei tifosi, le bandiere del Kosovo libero e la mega rissa, ci sono

secoli di rivalità, di diffidenza, di odi atavici che fanno sentire tutto il loro peso. C’è poco da fare, il legame tra calcio e nazionalismo, nei Balcani più che in altri luoghi, appare indissolubile.

Giantin rivive la serata di Belgrado:

Un’ulteriore conferma è arrivata martedì sera da Belgrado, dallo stadio del Partizan dove era in programma Serbia-Albania, match valido per le qualificazioni ad Euro 2016. Ma in quello che i tifosi della seconda squadra belgradese chiamano «il tempio» non si è giocata una partita. È andato in scena invece il triste spettacolo del nazionalismo più becero, tra fischi all’inno di Tirana e le urla «ubij Šiptara», «uccidi gli albanesi», anche se di supporter della nazionale albanese allo stadio, per loro off-limits per ragioni di sicurezza, ce n’erano pochissimi.

Erano però rappresentati dal vessillo che a sorpresa si è innalzato sopra il campo grazie a un drone, manovrato da mano ignota. Sulla bandiera, la mappa della «Grande Albania», Stato immaginario, propugnato da una sempre più sparuta minoranza. Stato che dovrebbe includere l’Albania, il Kosovo – che nel 2008 ha dichiarato l’indipendenza, ma per Belgrado rimane parte integrante della Serbia – una porzione della Macedonia, lembi di Grecia e Montenegro. Sotto, la scritta «autochthonous». «Siamo noi, i veri nativi balcanici, questa terra è nostra», l’incendiario messaggio. Da lì in poi, solo botte da orbi tra giocatori, l’invasione di campo da parte degli hooligan, la sospensione dell’incontro.

E poi ripercorre la storia di quella bandiera apparsa allo stadio:

Insomma, una vera e propria battaglia calcistica nutrita di nazionalismo, evocatrice delle ombre funeste della guerra del Kosovo del 1999, delle guerre balcaniche di inizio Novecento, persino della battaglia della Piana dei Merli del 1389, tema ancora caro agli ultranazionalisti serbi, sempre meno, però, rappresentativi della società. Battaglia che è proseguita anche fuori dal campo, con scene di giubilo da parte dei centinaia di albanesi in Kosovo, Montenegro e Macedonia, a esultare per la comparsa della «loro» bandiera a Belgrado

Questa la reazione in patria:

A Tirana, una moltitudine di giovani ha atteso la nazionale, sventolando le bandiere rosse con l’aquila nera al centro. Albanesi che «hanno deciso di sconfiggerci sul terreno dell’entusiasmo nazionalistico e della stupidità», il commento su Twitter del blogger serbo, Vladan Djukanovic. «I nostri ragazzi sono stati quasi uccisi», a Belgrado, ha ribattuto sul web una internauta albanese. «C’è una grande differenza tra quanto accaduto in Serbia e quanto accaduto in Albania», conferma il politologo albanese, Piro Misha. In Albania si sono organizzate celebrazioni «in onore dei giocatori di un piccolo Paese». C’era nazionalismo, sicuramente, ma espresso «senza aggressività». La delusione maggiore, sottolinea il politologo, sta nel fatto che nell’aria «c’erano significativi segnali di miglioramento nelle relazioni tra Serbia e Albania», con l’acme dell’imminente visita del premier albanese Rama a Belgrado.

Relazioni che, almeno stando alle reazioni dei politici di entrambi i fronti, sono tornate al livello del «noi contro di loro». L’auspicio, che sia solo una ricaduta nel vecchio morbo del nazionalismo, non del tutto debellato in una regione non ancora pienamente pacificata dopo la mattanza degli Anni Novanta. Regione dove, questo il problema principale, la disoccupazione rimane ovunque altissima, la povertà cresce, i giovani, siano essi serbi, kosovari o albanesi, vivacchiano in un limbo che offre poche speranze, diventando facili prede del nazionalismo.

Infine una considerazione su tutta l’area balcanica:

Nazionalismo che è ancora «molto presente nei Balcani e quanto accaduto lo dimostra», conferma l’intellettuale serba Srbijanka Turajlic. Non solo a Belgrado, tuttavia, le «competizioni sportive si sono trasformate in mini-guerre», con tifosi e giocatori che «bellicosamente sfidano altri Paesi», con i politici che soffiano su braci mai spente. Qui, però, nei Balcani, «dove le relazioni tra nazioni ancora non sono chiarite» e le cicatrici del passato rimangono aperte, «può succedere di tutto», se non si fa attenzione. E la guerra del football tra Serbia-Albania insegna. Col fuoco dei nazionalismi meglio non giocare.