“I Vichinghi”, il film di Claudio Fah: “Cerco la metafora più della lezione storica”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 17 Novembre 2014 - 13:59 OLTRE 6 MESI FA
"I Vichinghi", il film di Claudio Fah: "Cerco la metafora più della lezione storica"

“I Vichinghi”, il film di Claudio Fah: “Cerco la metafora più della lezione storica”

ROMA – “Spade insanguinate, scogliere rocciose, tempeste terrificanti – scrive Fulvia Caprara della Stampa – Sull’orizzonte del cinema di saghe ecco stagliarsi una squadra di nuovi, temibili, concorrenti, sono I Vichinghi raccontati nell’omonimo film di Claudio Fah, biondi, alti e minacciosi, come detta la tradizione storica, ma anche dotati di straordinario coraggio e forte spirito di corpo. In anteprima al Festival di Zurigo e ora in arrivo nelle sale (dal 27 con Eagle Pictures) la pellicola punta a eguagliare i successi di Peter Jackson, dal Signore degli anelli all’ultimo Hobbit, ma anche di entrare nella scia fortunata di Dragon Trainer e della (più infantile) serie di libri e cartoni animati Vicky il vichingo”.

L’articolo completo:

Nel kolossal di Fah, il Nord dei combattenti valorosi e delle infide nebbie mette in campo tutto il suo fascino puntando su un cast di attori che vengono da film famosi, ma non sono ancora star, e su un colpo di genio come quello di affidare il ruolo del guerriero Valli allo svedese Johan Hegg, frontman della band heavy metal Amon Amarth che alla mitologia vichinga ha dedicato buona parte della propria produzione musicale: «Avevo visto delle foto di Hegg – racconta il regista – e pensavo fosse un tipo tosto, aggressivo, che magari mi avrebbe salutato con un pugno. Quando ci siamo incontrati per la prima volta su Skype ho scoperto che, invece, era l’esatto opposto. Il progetto gli è piaciuto subito e lo ha sposato con grande entusiasmo».
L’avventura dei Vichinghi si apre nel nono secolo, con un gruppo di predoni banditi dalla loro terra e guidati dal giovane Asbjorn (Tom Hopper) verso le coste sud-orientali della Gran Bretagna, dove, grazie a razzie e saccheggi, proveranno a riacquistare la loro libertà. Ma il viaggio non va secondo i programmi stabiliti, una tormenta sospinge i vichinghi verso le coste scozzesi, da lì, intrappolati dietro le linee nemiche, tenteranno di raggiungere la salvezza nel lontano accampamento di Danelow. Sulla strada, naturalmente, li attendono mille prove e pericoli, dal rapimento di Lady Ingheam (Charlie Murphy), figlia del Re Dunchaid (Danny Keogh) in cui vedono la possibilità di un sontuoso riscatto, al corpo a corpo con l’armata dei «Lupi», mercenari di inarrivabile crudeltà ingaggiati dal Re per punirli e riavere l’erede: «I “Lupi” – scherza il regista – sono noti per essere particolarmente brutali, organizzati come marines. Sembrano un po’ “Hell’s Angels” e i Vichinghi, al loro confronto, fanno la figura degli hippies». La preparazione del film, sia sul piano del training fisico degli attori che su quello della ricostruzione storica, è stata particolarmente accurata: «L’impresa richiedeva un impegno pazzesco, anche dal punto di vista emotivo. Mi interessava costruire un film corale, attraversato da una forte tensione, il gruppo dei protagonisti non ha vie di scampo, deve restare unito per forza, volevo che il pubblico potesse capirne le motivazioni e le spinte più profonde». Non avere un cast di divi, aggiunge il regista, è stato stimolante perchè certe volte succede che «le star finiscano per surclassare la storia che interpretano. Se sul set hai Stallone, corri il rischio che il film sia travolto dalla sua presenza, io, invece, ho lavorato benissimo con i miei interpreti, capaci di esprimere forza, ma anche vulnerabilità».
Un’altra scelta che, sulla carta, poteva sembrare penalizzante, era quella delle location, tutte in Sudafrica, niente di più lontano dall’iconografia delle leggende nordiche: «Quando i produttori mi hanno detto che volevano ambientare le riprese in quella parte del mondo ho pensato che fossero pazzi. Poi ho guardato le foto delle zone prescelte e ho cambiato completamente idea. Il panorama del Sudafrica è molto versatile, offre colline simili alle Highlands scozzesi e ha anche un clima appropriato. Si tende a pensare che in Africa ci sia sempre il sole, e invece al Sud ci sono spesso pioggia, vento, freddo. E poi ci siamo innamorati della gente del luogo».
Per Claudio Fah, nato in Svizzera nel 1975, il riferimento cinematografico più importante è Sergio Leone: «Nei suoi western, come in questo, c’è metafora più che lezione storica». La saga preferita, anzi «adorata», è «Il Signore degli anelli, «soprattutto i primi capitoli, perchè hanno un fondo narrativo forte, che mi attrae molto», ma l’impianto visivo risente anche «dell’ispirazione di Apocalypto di Mel Gibson». Il finale dei Vichinghi è volutamente aperto: «Speriamo tutti che ci possa essere un seguito».
Spade insanguinate, scogliere rocciose, tempeste terrificanti. Sull’orizzonte del cinema di saghe ecco stagliarsi una squadra di nuovi, temibili, concorrenti, sono I Vichinghi raccontati nell’omonimo film di Claudio Fah, biondi, alti e minacciosi, come detta la tradizione storica, ma anche dotati di straordinario coraggio e forte spirito di corpo. In anteprima al Festival di Zurigo e ora in arrivo nelle sale (dal 27 con Eagle Pictures) la pellicola punta a eguagliare i successi di Peter Jackson, dal Signore degli anelli all’ultimo Hobbit, ma anche di entrare nella scia fortunata di Dragon Trainer e della (più infantile) serie di libri e cartoni animati Vicky il vichingo. Nel kolossal di Fah, il Nord dei combattenti valorosi e delle infide nebbie mette in campo tutto il suo fascino puntando su un cast di attori che vengono da film famosi, ma non sono ancora star, e su un colpo di genio come quello di affidare il ruolo del guerriero Valli allo svedese Johan Hegg, frontman della band heavy metal Amon Amarth che alla mitologia vichinga ha dedicato buona parte della propria produzione musicale: «Avevo visto delle foto di Hegg – racconta il regista – e pensavo fosse un tipo tosto, aggressivo, che magari mi avrebbe salutato con un pugno. Quando ci siamo incontrati per la prima volta su Skype ho scoperto che, invece, era l’esatto opposto. Il progetto gli è piaciuto subito e lo ha sposato con grande entusiasmo».
L’avventura dei Vichinghi si apre nel nono secolo, con un gruppo di predoni banditi dalla loro terra e guidati dal giovane Asbjorn (Tom Hopper) verso le coste sud-orientali della Gran Bretagna, dove, grazie a razzie e saccheggi, proveranno a riacquistare la loro libertà. Ma il viaggio non va secondo i programmi stabiliti, una tormenta sospinge i vichinghi verso le coste scozzesi, da lì, intrappolati dietro le linee nemiche, tenteranno di raggiungere la salvezza nel lontano accampamento di Danelow. Sulla strada, naturalmente, li attendono mille prove e pericoli, dal rapimento di Lady Ingheam (Charlie Murphy), figlia del Re Dunchaid (Danny Keogh) in cui vedono la possibilità di un sontuoso riscatto, al corpo a corpo con l’armata dei «Lupi», mercenari di inarrivabile crudeltà ingaggiati dal Re per punirli e riavere l’erede: «I “Lupi” – scherza il regista – sono noti per essere particolarmente brutali, organizzati come marines. Sembrano un po’ “Hell’s Angels” e i Vichinghi, al loro confronto, fanno la figura degli hippies». La preparazione del film, sia sul piano del training fisico degli attori che su quello della ricostruzione storica, è stata particolarmente accurata: «L’impresa richiedeva un impegno pazzesco, anche dal punto di vista emotivo. Mi interessava costruire un film corale, attraversato da una forte tensione, il gruppo dei protagonisti non ha vie di scampo, deve restare unito per forza, volevo che il pubblico potesse capirne le motivazioni e le spinte più profonde». Non avere un cast di divi, aggiunge il regista, è stato stimolante perchè certe volte succede che «le star finiscano per surclassare la storia che interpretano. Se sul set hai Stallone, corri il rischio che il film sia travolto dalla sua presenza, io, invece, ho lavorato benissimo con i miei interpreti, capaci di esprimere forza, ma anche vulnerabilità».
Un’altra scelta che, sulla carta, poteva sembrare penalizzante, era quella delle location, tutte in Sudafrica, niente di più lontano dall’iconografia delle leggende nordiche: «Quando i produttori mi hanno detto che volevano ambientare le riprese in quella parte del mondo ho pensato che fossero pazzi. Poi ho guardato le foto delle zone prescelte e ho cambiato completamente idea. Il panorama del Sudafrica è molto versatile, offre colline simili alle Highlands scozzesi e ha anche un clima appropriato. Si tende a pensare che in Africa ci sia sempre il sole, e invece al Sud ci sono spesso pioggia, vento, freddo. E poi ci siamo innamorati della gente del luogo».
Per Claudio Fah, nato in Svizzera nel 1975, il riferimento cinematografico più importante è Sergio Leone: «Nei suoi western, come in questo, c’è metafora più che lezione storica». La saga preferita, anzi «adorata», è «Il Signore degli anelli, «soprattutto i primi capitoli, perchè hanno un fondo narrativo forte, che mi attrae molto», ma l’impianto visivo risente anche «dell’ispirazione di Apocalypto di Mel Gibson». Il finale dei Vichinghi è volutamente aperto: «Speriamo tutti che ci possa essere un seguito».