Il Fatto: “Regalo Banca d’Italia, sì alla fiducia. Ma tra le proteste”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 25 Gennaio 2014 - 09:42 OLTRE 6 MESI FA
Decreto Imu-Bankitalia: sit-in M5s in aula durante le votazioni (foto)

Decreto Imu-Bankitalia: sit-in M5s in aula durante le votazioni (foto Ansa)

ROMA – La fiducia c’è, dopo il Senato anche la Camera vota sulla conversione in legge del decreto Imu-Bankitalia che “crea il presupposto di un inaccettabile maxi-regalo alle grandi banche di cui i cittadini non tarderanno a chiedere conto”, come dice Daniele Capezzone di Forza Italia, presidente della commissione Finanze.

Il Movimento Cinque Stelle protesta, con un sit-in dentro Montecitorio, quattro deputati vengono espulsi perché cercavano di impedire ai loro colleghi di votare.

Ma non serve: il governo Letta ha voluto blindare con la fiducia questa legge e la maggioranza si dimostra compatta, 355 voti a favore, 144 contrari e un astenuto.

È la più grossa vittoria della lobby del credito che pure ha ottenuto tante piccole soddisfazioni in questi mesi. Manca ancora il voto finale, atteso per martedì, ma quello della fiducia era il passaggio decisivo. I malumori dentro il Pd – rari ma presenti – sono stati silenziati e l’appoggio è risultato granitico.

Scrive Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano:

L’INTENTO DEL GOVERNO sembra nobile: fare chiarezza su quanto vale la Banca d’Italia, il cui capitale è rimasto quello (quasi simbolico) stabilito nel 1936, 300 milioni di lire, 156 mila euro. Le quote sono distribuite tra le principali banche italiane, Intesa e Unicredit ne possiedono insieme oltre la metà, il 52,4 per cento. Visto che il valore reale era difficile da determinare, ma sicuramente superiore a quello simbolico di 156 mila euro, ogni banca valutava in bilancio le proprie quote a prezzi diversi. E così interviene il governo a fare chiarezza.

NOBILE PRINCIPIO, conseguenze molto discusse. Un comitato di saggi stima che il valore corretto, considerando i dividendi futuri attesi, non è 156 mila euro ma 7,5 miliardi. Si procede quindi a un aumento di capitale ma, ovviamente, non sono le banche azioniste a tirare fuori i soldi, si prelevano dalle riserve, cioè si usano capitali che sono della Banca d’Italia e, indirettamente, dello Stato (che, per statuto, incassa dividendi in base alle riserve). Finora, ogni anno, le banche hanno incassato dividendi bassi, circa 70 milioni di euro nel complesso, pari allo 0,5 per cento dei rendimenti degli investimenti e delle riserve di Bankitalia. La quota massima era il 4, ma per prassi ci si fermava sotto, appunto intorno allo 0,5. Ora il limite massimo sale al 6 per cento. Perché, visto che già il 4 sembrava un tetto alto? Mistero. Con le nuove regole, le banche private potrebbero ottenere quest’anno circa 450 milioni di euro invece che i 70 del 2013. Ma questo è solo il primo favore.

Il secondo è riservato agli istituti più grossi: la Banca d’Italia può ricomprarsi le quote in eccesso rispetto al limite massimo, fissato dalla nuova legge, che è il 3 per cento. Questo significa che Intesa e Unicredit possono sperare di ricevere da via Nazionale, 3,5 miliardi in totale. Soldi veri, non mere rivalutazioni contabili. E molto preziosi nell’anno in cui le banche sono sottoposte al severo esame della Bce di Mario Draghi, in vista del progetto di Unione bancaria europea. Le quote sopra il 3 per cento, dice la legge, non danno però diritto al dividendo proporzionale, quindi Intesa e Unicredit hanno un forte incentivo a chiedere alla Banca d’Italia di ricomprarsi le azioni che detengono.

IN TEORIA la questione delle quote di Bankitalia doveva risolversi in un altro modo: la legge sul risparmio del 2005 prevedeva che lo Stato si riprendesse le quote detenute dalle banche, anche per dare maggiore credibilità all’azione di vigilanza della Banca d’Italia che oggi è formalmente di proprietà dei vigilati. Niente da fare: il regolamento attuativo non è mai arrivato, avrebbe creato troppi fastidi alle banche. E così oggi cambia la legge andando in direzione completamente opposta: dopo la rivalutazione, lo Stato non potrà mai rientrare in possesso di una Banca d’Italia che vale 7,5 miliardi invece che 156 mila (…)