Imu-Bankitalia, impeachment Napolitano, Fiat: prime pagine e rassegna stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 30 Gennaio 2014 - 08:27 OLTRE 6 MESI FA

Il Corriere della Sera: “Grillini all’attacco, rissa in Aula”. La nebulosa delle nomine. L’editoriale di Daniele Manca:

C’è voluto uno scandalo, o meglio una serie di scandali che hanno coinvolto Finmeccanica, una delle holding più importanti nella galassia delle partecipazioni statali, perché si arrivasse a regolamentare le nomine nelle società partecipate dal ministero dell’Economia e Finanze. Una direttiva del 24 giugno scorso ha tracciato una precisa procedura, seppur non priva di ombre, per arrivare a indicare i vertici dei grandi gruppi pubblici. Ma è tutt’altro che garantito che si scongiuri lo spettacolo poco edificante che negli anni scorsi ha visto dividersi tra partiti e lobby centinaia di poltrone e incarichi.
La politica sembra distratta. O meglio, appare lontana la scadenza di primavera quando andranno al rinnovo i vertici di Eni, Enel, la stessa Finmeccanica e la privatizzanda Poste, per citare solo quattro delle maggiori aziende. E forse c’è chi spera che la grande spartizione avvenga sotto la spinta dell’urgenza. In realtà qualcosa è già accaduto.
Così come previsto dalla direttiva, sono stati scelti i due advisor (Spencer Stuart e Korn Ferry) della direzione generale del Tesoro. Selezioneranno una rosa di nomi per incarichi da consigliere di amministrazione, amministratori delegati e presidenti. È stato indicato il Comitato di garanzia, formato da Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta, Vincenzo Desario, ex direttore generale della Banca d’Italia, e Maria Teresa Salvemini, consigliere Cnel; a loro dovrà essere sottoposto l’elenco dei candidati.

La riforma procede ma la stabilità è da costruire. La nota politica di Massimo Franco:
L’intesa sta prendendo corpo, e Matteo Renzi e Silvio Berlusconi ne sono giustamente entusiasti: il sistema è fatto su misura per i grandi partiti e per tagliare le unghie a quelli piccoli, Lega esclusa. E quando oggi comincerà la discussione in Parlamento, non sarà facile agli oppositori fermare una macchina che dovrebbe approvare la riforma elettorale entro maggio, dopo anni di tentativi falliti. Rimane da capire quanto peseranno le ombre di incostituzionalità che le forze minori additano: soprattutto per la norma a favore del Carroccio, imposta al Pd dal Cavaliere per salvare un alleato malconcio ma ancora in grado di produrre seggi al Nord.
L’appello al Quirinale che arriva da alcuni settori suona come l’ultima spiaggia per fermare una rivincita del bipolarismo ottenuta in poche settimane. In realtà, non è scontato che il nuovo sistema garantisca anche la stabilità. Senza una modifica del Senato, la possibilità che dalle urne escano due Camere con maggioranze diverse rimane alta: proprio come è successo nel recente passato. Ma tutto questo ieri è scivolato in secondo piano, rispetto alla tenuta del patto tra il segretario del Pd e il capo di Forza Italia; e non era scontato.
La prima pagina di Repubblica: “Renzi-Berlusconi: ecco la riforma”.

La prima pagina della Stampa: “John Elkann: Auto, ora un futuro più solido”.

Il Fatto Quotidiano: “Impeachment M5s a Re Giorgio. Rivolta sul regalo alle banche”.

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Il Giornale: “Fiat lascia l’Italia”. L’editoriale di Nicola Porro:

La Fiat, come ampiamente pre­visto, ha stabilito che la sua se­de legale sarà in Olanda e quel­la fiscale a Londra. Compren­diamo perfettamente l’atteggiamento romantico di dolersi per una società ita­liana che decide di mettere radici al­l’estero. Ma ai fenomeni che oggi si la­mentano e considerano la scelta degli azionisti sbagliata, vorremmo porre al­cune domande. Per quale motivo razio­nale una multinazionale dovrebbe sce­gliere, potendo, di pagare il doppio del­le tasse sugli utili in Italia? Per quale mo­tivo dovrebbe utilizzare le nostre nor­me commerciali, fiscali e non andare a cercare il luogo più favorevole all’impre­sa? Evidentemente non ci rendiamo conto di che cosa stia accadendo.
La Fiat ha commesso molti errori e nel passato ha abusato di aiuti pubblici. I suoi azionisti, quando l’azienda era ben piantata in Italia, hanno costituito tesoretti all’estero evadendo il fisco. Il caso Fiat ci interessa per affermare un principio, non per difendere le scelte di una singola azienda. La questione è in­fatti semplice. Oggi si compete su un mercato globale. Titolo buono per un bel convegno di Confindustria, con poli­tici illuminati che recitano il compitino”.