Imu sui beni culturali, Carandini: “Servono agevolazioni, basta tagli”

Pubblicato il 15 Novembre 2012 - 14:11 OLTRE 6 MESI FA
Imu sui beni culturali, Carandini: “Servono agevolazioni, basta tagli” (Foto LaPresse)

ROMA – La riforma del catasto e l’Imu si abbattono sui beni culturali italiani. Il Sole 24 Ore riporta uno stralcio dell’intervento agli Stati Generali della Cultura di Andrea Carandini, archeologo italiano, che descrive le difficoltà del ministero per i Beni e le attività culturali, oppresso dai tagli e dall’assenza di agevolazioni fiscali. “Artefici di un secondo Rinascimento”, questo è il titolo del discorso di Carandini e l’obiettivo che lo Stato dovrebbe portare avanti secondo l’archeologo, che rassegnò le sue dimissioni dal “Consiglio Superiore dei Beni Culturali” per protestare contro i tagli alla cultura.

Carandini afferma:

“La legge Scotti, che introdusse un regime di fiscalità di vantaggio per i beni culturali (512/1982), ha favorito lo sviluppo di migliaia di piccole e medie imprese specializzate nel restauro. La riforma del catasto e l’Imu colpiscono dimore storiche e beni vincolati. È necessario riconoscere nella disciplina delle rendite catastali la specialità dei beni culturali, anche per tener fede al patto che lega i cittadini allo Stato fin dalla legge 1089/1939. Il vincolo è un limite e un onere per la proprietà, ai quali dovrebbe corrispondere un riconoscimento sul piano fiscale. Eppure nessuna agevolazione è stata concessa”.

Il Sole 24 Ore riporta l’intervento di Carandini, che ha parlato in presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano:

“L’impegno dello Stato nella tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico – imposta dalla Costituzione – è andato scemando. La rassegnazione, a volte la resa, porta a contare sempre più sul privato, ma se lo Stato dismette il suo impegno manca lo scheletro nell’organismo. E i muscoli dei privati a quali ossa si attaccheranno? È un intero sistema che dobbiamo progettare e costruire nei prossimi anni, e nessuno può fare “scarica barile”. Il ministero è un morente ibernato. O giungeranno risorse per risuscitarlo, oppure tanto varrebbe abolirlo: a che servono medici che non possono curare i malati?

Tutelare il patrimonio significa curarlo, e i fondi per la tutela attribuiti al ministero erano 180,5 milioni nel 2011, 132 nel 2012 e saranno 90,5 nel 2013 e nel 2014. I fondi si sono dimezzati in tre anni e caleranno di altri 10 milioni nel 2015. In media circa 5 milioni a ciascuna regione a Statuto ordinario: per biblioteche, archivi, siti archeologici, gallerie, monumenti e paesaggio. Il ministero ha una capacità di spesa calcolabile in circa 500 milioni annui; ora è costretto a spendere un sesto di quella cifra. Eppure per mantenere il patrimonio servirebbe un ministero più forte e per esso una porzione del Pil pari ad almeno la media europea. Siamo allo 0,22 per cento.

Il ministero perde 32 soprintendenti e dirigenti di seconda fascia, 6 direttori regionali e generali e 1.800 altre unità, nonostante il rapporto tra dirigenti e non dirigenti sia di 1 a 109, proporzione più che doppia rispetto a quella auspicata dal governo, che è di 1 a 40. Anche il nuovo Consiglio Superiore è stato amputato per cui pare illegittimo, mancandogli i presidenti dei Comitati tecnico-scientifici, cioè i cervelli del ministero, che sono stati soppressi per risparmiare 10mila euro di missioni. I beni in rovina non strillano, non votano. In futuro, molto si lamenteranno gli italiani”.