La lettera della Bce che cambiò l’Italia. Enrico Marro, Corriere della Sera

di Redazione Blitz
Pubblicato il 5 Agosto 2014 - 13:59 OLTRE 6 MESI FA
La lettera pubblicata dal Corriere della Sera

La lettera pubblicata dal Corriere della Sera

ROMA – “Una stangata dietro l’altra. Ma non bastava mai. Lo spread continuava a salire e le agenzie di rating ci declassavano, a segnalare che i mercati perdevano fiducia sulla capacità dell’Italia di onorare il suo debito pubblico – scrive Enrico Marro del Corriere della Sera – Il commissariamento da parte della troika (Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Commissione europea) sembrava imminente”.

L’articolo completo:

Un’estate da dimenticare, quella del 2011. Per l’Italia, ma anche per l’Europa che non poteva sopportare un eventuale default del nostro Paese: too big to fail , troppo grande per fallire. Si mossero in molti per evitarlo. Ma ciò che risultò decisivo per la politica economica, e non solo, dell’Italia fu la lettera «strettamente confidenziale» al governo di Roma firmata il 5 agosto, esattamente tre anni fa, dall’allora presidente della Bce Jean-Claude Trichet e dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che nemmeno tre mesi dopo sarebbe succeduto allo stesso Trichet. La missiva si apriva con un «Caro Primo Ministro», allora Silvio Berlusconi. Il contenuto rimase segreto fino al 29 settembre quando, con uno scoop di Mario Sensini, il Corriere della Sera rese la lettera integralmente nota.

Si capì allora che il decreto legge approvato dal consiglio dei ministri il 13 agosto, una manovra bis da 65 miliardi che si sommava a quella da 80 miliardi decisa appena un mese prima, era stata scritta sotto dettatura della Bce. Nella forma, una decreto appunto, come chiedevano esplicitamente Trichet e Draghi, e nei contenuti: l’anticipo del pareggio di bilancio al 2013, anziché il 2014. Ma le misure contenute nelle due manovre dell’estate 2011 non esaurivano le richieste della banca centrale. Tanto è vero che anche la legge di Stabilità e il decreto legge 201, che il nuovo presidente del Consiglio Mario Monti ribattezzò «Salva Italia», non facevano che attuare altre parti di quel dettagliato elenco di richieste contenuto nella lettera. Elenco mai esaurito. E che ancora oggi divide. Da una parte i fautori della sua piena applicazione. Dall’altra chi si oppone con l’argomento che si tratta di una ricetta che produce solo recessione. Vediamo meglio.
Le due cartelle firmate da Trichet e Draghi si suddividono in tre capitoli. Il primo sulle misure per «accrescere il potenziale di crescita», il secondo su quelle per «assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche» e il terzo su come migliorare l’amministrazione pubblica.

Nel primo capitolo si chiedono tre interventi urgenti: la «piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali», in particolare nella «fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala»; la riforma dei contratti di lavoro per rendere i contratti aziendali «più rilevanti» rispetto a quelli nazionali; la riforma dei licenziamenti accompagnata da un sistema di assicurazione sulla disoccupazione e di ricollocamento al lavoro. Nessuna di queste richieste è stata esaudita. Disboscare la giungla delle oltre 7 mila società partecipate da Regioni, province e comuni che insieme perdono 2,2 miliardi all’anno si è rivelata un’impresa. Che da ultimo sta impegnando, ma solo a livello di proposte, il commissario per la revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli. Il sistema contrattuale è ancora centrato sui contratti nazionali. Il nodo dei licenziamenti non è stato sciolto. La riforma del mercato del lavoro Fornero ha modificato l’articolo 18 con una normativa complicata mentre un’indennità di disoccupazione universale e nuove politiche attive sono affidate a un ennesimo disegno di legge delega presentato dall’attuale ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, lontano dall’essere approvato in Parlamento.
Anche nel secondo capitolo si sollecitano tre misure: una manovra bis per anticipare il pareggio di bilancio al 2013, «principalmente attraverso tagli di spesa», in particolare sulle pensioni e sul pubblico impiego, «se necessario riducendo gli stipendi»; l’introduzione di una «clausola di riduzione automatica del deficit»; la messa «sotto stretto controllo» dell’indebitamento delle Regioni e degli enti locali anche con «una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio». Questo pacchetto di richieste è stato in parte rispettato. La riforma delle pensioni Fornero è andata forse oltre le richieste della stessa lettera (stretta sulle anzianità, sull’età pensionabile delle donne) al punto che oggi si discute di come ammorbidirla. Le retribuzioni pubbliche sono state bloccate e quelle alte tagliate. Di clausole di salvaguardia sono disseminate tutte le manovre di aggiustamento dei conti dal 2011 in poi. Il pareggio di bilancio è stato messo nella Costituzione. Eppure nonostante ciò lo stesso pareggio, di governo in governo, è slittato al 2016. Forse aver attuato soprattutto le misure di rigore trascurando quelle per la crescita ha accentuato la recessione.
Il terzo capitolo, sinteticamente, invoca una «revisione dell’amministrazione pubblica», superando tra l’altro le province. Quest’ultima cosa è diventata legge lo scorso aprile mentre la riforma della Pa sta muovendo ora i primi passi, con il decreto e la delega Madia. Un’ulteriore dimostrazione che si rispose alla lettera innanzitutto con i tagli (pensioni e pubblico impiego) mentre il resto finì in secondo piano.