La polveriera che rischia di saltare in aria non è quella già disinnescata di Punta Rossa. La bomba a orologeria è la rabbia dei maddalenini: nei quartieri periferici della città più militarizzata d’Italia, tra le case che nei prossimi giorni saranno rase al suolo, la protesta lievita e si fa pericolosa. Ieri mattina c’è stato il primo assaggio di una tensione diventata rovente in soli due giorni: le ruspe della Procura della Repubblica sono arrivate sull’isola lunedì mattina e nelle prossime ore dovranno buttar giù trentacinque edifici abusivi.
Nell’ordinanza di demolizione ci sono «prime case» ma non solo: terrazzi, stanzette e sgabuzzini, villette in riva e casotti trasformati in residenze stabili. Persino una villa ricavata su un vecchio fortino, in uno degli angoli più belli dell’Arcipelago: la struttura originaria, seminascosta dai roccioni di Nido d’aquila, è uno dei beni dimenticati dalla Regione ma la famiglia che la occupava aveva abbellito gli esterni e creato nuove stanze. Le ruspe ci sono arrivate nel primo pomeriggio e tutti i metri cubi realizzati senza una concessione sono stati demoliti. 
Prima di azionare le benne, l’esercito della procura ha trascorso una mattinata intera sotto assedio. Bloccato da una barriera umana che ha circondato il parcheggio della scuola sottufficiali della Marina e impedito alla ruspe di uscire. E qui la tensione è salita alle stelle. Le forze dell’ordine hanno tentato la mediazione ma per liberare la strada, alla fine, i carabinieri hanno deciso di usare la forza. Dopo ore di urla, trattative inutili, minacce e slogan, i blindati hanno sfondato il blocco e così in cinque sono finiti all’ospedale. Il presidio comunque non è finito e fino alla fine sono rimasti in mezzo ai manifestanti anche i due parroci di La Maddalena: don Andrea Domanski, pastore del quartiere di Moneta e don Domenico Degortes, prete della chiesa di Santa Maria.
Oggi nell’isola-parco sarà un’altra giornata ad altissima tensione. Il Consiglio comunale è convocato in piazza per le otto del mattino e insieme agli amministratori ci saranno le stesse persone che ieri hanno sfidato le ruspe. Cosa succederà? «Non lo sappiamo, qui il clima è molto pesante: la nostra città è una polveriera, non vorremmo che la situazione degenerasse. Il Consiglio è convocato per le otto, ma se le ruspe si muovono prima saremo in prima linea per tentare di sbarrare la strada – annuncia il sindaco Angelo Comiti –. Siamo preoccupati perché non sappiamo come possano reagire le persone che temono di trovarsi una pala meccanica sulla porta di casa. E ci chiediamo: che credibilità ha una giustizia che si ricorda dopo trent’anni di eseguire le demolizioni imposte da una sentenza? Perché la procura non aspetta che un altro giudice esamini i ricorsi che sono stati già presentati? Le udienze, d’altronde, sono fissate per i prossimi giorni».
Qualche decisione, comunque, il giudice Marco Contu l’ha presa già ieri mattina. Tre dei ricorsi presentati d’urgenza sono stati subito accolti e ora le ruspe dunque dovranno saltare alcuni indirizzi. Ma c’è un caso che potrebbe mettere in difficoltà la procura: per la casa della famiglia Are, demolita lunedì mattina, l’udienza è fissata per i primi giorni di giugno. Cosa succederà se il giudice stabilirà che mancavano i presupposti?
L’appello per spegnere i motori dei bulldozer, intanto, lo sottoscrive anche il vescovo di Tempio, Sebastiano Sanguinetti: «L’abusivismo edilizio e l’illegalità sono una piaga che lo Stato ha l’obbligo di estirpare con tutti i mezzi ma magistratura e istituzioni, in quanto garanti dei diritti fondamentali dei cittadini, devono trovare insieme delle soluzioni. Una famiglia che non ha altra sistemazione, anche se ha sbagliato, deve vedere rispettato il diritto inalienabile a una casa. La legge è per l’uomo, non l’uomo per la legge».