L’agenda Renzi, Berlusconi, Serie A: rassegna stampa e prime pagine

di Redazione Blitz
Pubblicato il 28 Ottobre 2013 - 08:22 OLTRE 6 MESI FA

corriereLa sfida di Renzi per il governo. Il Corriere della Sera: “Matteo Renzi chiude l’evento alla Leopolda di Firenze con parole chiare: «Mai più larghe intese, sì invece alla riforma della legge elettorale come per i sindaci». Dalla giustizia al bicameralismo, i punti principali del programma del leader democratico.”

Il peccato nazionale. L’editoriale a firma di Ernesto Galli della Loggia:

«Non è mica colpa nostra! È lui, sono loro (a piacere Berlusconi, Prodi, la Sinistra, la Destra) che hanno ridotto il Paese così». La grande maggioranza degli italiani è ormai consapevole della gravità della situazione in cui ci troviamo, avverte che a questo punto solo scelte coraggiose e magari anche impopolari, solo drastiche rotture rispetto al passato possono allontanarci da quel vero e proprio declino storico che altrimenti ci attende. Ma questa maggioranza è tenuta in ostaggio da quel grido lanciato di continuo dalla minoranza disinformata e settaria dell’opinione pubblica: «Non è colpa nostra! È colpa di altri». Un grido, un giudizio intimidatorio, che ha il solo effetto politico di dividere, di impedire quel minimo di accordo generale sulle responsabilità passate e perciò sulle decisioni audaci di cui c’è tanto disperato bisogno. Contribuendo così a rendere la soluzione della crisi ancora più lontana.

Invece bisogna convincersi — a destra come a sinistra — che non è «colpa loro». Della situazione drammatica in cui si trova l’Italia è colpa nostra, è colpa di tutti, sia pure, come si capisce, in grado diverso. La politica, i politici, per esempio, hanno certamente responsabilità primaria perché alla fine è la politica che decide. Ma in realtà la vera colpa della politica nel caso italiano è stata soprattutto quella di non avere alcun progetto, alcuna idea; e se l’aveva di non essere stata capace di realizzarla. Di non aver fatto. Per esempio di non essere stata in grado di opporsi alle richieste caotiche e spesso alle pretese (nonché ai vizi antichi) della società italiana. E quindi di aver scelto ogni volta la soluzione più facile e più demagogica: che naturalmente era quasi sempre anche la meno saggia e la più costosa per l’erario. L’Italia insomma è stata per un trentennio la scena di un grandioso concorso di colpe: tra i partiti e la politica da un lato, e dall’altro gli italiani e — elemento non meno importante — le élite economico-burocratiche che di fatto hanno anch’esse (eccome!) governato il Paese.

Giustizia e riforme, ecco l’agenda Renzi. L’articolo a firma di Monica Guerzoni:

Una sinistra «senza puzza sotto il naso», senza miti fondativi né reliquie da custodire. Matteo Renzi chiude la «tre giorni di terapia di gruppo» alla Leopolda davanti a settemila persone e apre il cantiere del nuovo Pd, che non avrà paura di smantellare totem e sfatare tabù. Niente è intoccabile e tutto è rottamabile, per il sindaco che parla da segretario e che non ha più fretta di correre a Palazzo Chigi: «Non siamo ingrifati all’idea di dire agli italiani che tra sei mesi si torna a votare». Ma non tutti nel Pd gli credono, se Beppe Fioroni osserva che «la Leopolda ha dipinto il governo come un treno al capolinea».

Renzi però non si volta. Il suo obiettivo non sono le urne, è il cambiamento. Chi ha detto che non si può riformare la giustizia, anche quella penale? Perché un innocente deve farsi un anno di carcerazione preventiva? Ed è possibile che non si possa criticare l’Europa o fare le pulci ai sindacati, che non certificano nemmeno i loro bilanci? «Una sinistra che non cambia si chiama destra».

Promette che sarà il «custode del bipolarismo» e che mai più si faranno «giochini sulle spalle degli italiani». Basta larghe intese e questo «per essere coerenti con quello che Enrico Letta ha detto». Al suo popolo di «barbari» dà appuntamento alla Leopolda 2014, un anno di vita per il governo e un anno per verificare quel patto in quattro punti con cui si è candidato alle primarie: riforme, giustizia, scuola, lavoro.

I paletti del premier sulla legge elettorale. L’articolo a firma di Marco Galluzzo:

Per Letta una nuova legge elettorale dovrebbe già esserci. Si è perso sin troppo tempo finora. E forse stare a discutere di modelli totalmente nuovi può confliggere con l’urgenza di cambiare il Porcellum prima del 3 dicembre, almeno in prima lettura, quando a farlo sarà probabilmente la Corte costituzionale con una sentenza.

Difficilmente Letta commenterà il discorso di ieri di Matteo Renzi, non l’hai mai fatto, è materia precongressuale del suo partito, dalla quale è sempre rimasto fuori. E del resto ci sarebbe anche poco da commentare, le dichiarazioni programmatiche del sindaco di Firenze sono fin troppo plausibili per il presidente del Consiglio: figuriamoci se il premier non vuole una riforma della giustizia, materia delegata in parte ai saggi nominati da Napolitano e soprattutto nodo ormai centrale di ogni progetto che riguardi il futuro del Paese.

E se dalle riforme della giustizia, civile e penale, dipende una larga chance di recupero di appetibilità agli investimenti esteri, da parte dell’Italia, figuriamoci se il premier non è d’accordo con uno degli altri slogan scelti da Renzi ed enfatizzati nell’ultimo giorno della sua Leopolda: mai più larghe intese? Letta ha sempre definito la ragione del suo esecutivo anche in questo senso; riforme, elettorale e istituzionali, per restituire il campo della politica a funzioni esecutive e parlamentari più efficaci, chiare e in grado realmente di operare. «Non è il mio governo», ha detto più volte: è in fondo la stessa cosa, fanno notare a Palazzo Chigi.

Big-bang Pdl, tutti intorno a B. e ai suoi soldi. L’articolo del Fatto Quotidiano a firma di Fabrizio d’Esposito:

Renato Brunetta è un animale strano del berlusconismo. Uno Zelig che si trasforma a seconda delle stagioni. Falco per antonomasia, poi alfaniano durante l’estate, adesso che è autunno è tornato lealista berlusconiano. Ma fino a un certo punto. L’energico capogruppo del Pdl alla Camera ieri ha guidato il coro anti-ministeriali ma ha stonato sull’ipotesi Marina B. per la successione al Condannato: “Non ci sono subordinate” .

Segno che è grande, grandissima la confusione sotto il cielo della destra padronale italiana, per dirla in modo maoista. L’unica certezza, dopo una finzione durata settimane, è che il big bang di governo e Pdl si misurerà sulla decadenza di Silvio Berlusconi. Ormai tutti lo ammettono chiaramente. Altro che legge di stabilità. Per il citato Brunetta “o il governo evita la decadenza oppure le larghe intese sono finite”. Il refrain è ossessivo a tutti i livelli lealisti: colonnelli, seconde e terze file, semplice peones. L’ex guardasigilli Nitto Palma, di matrice previtiana, include nella resa dei conti anche Edmondo Bruti Liberati, procuratore capo di Milano. Colpevole, per Palma, di aver detto pronunciato al congresso dell’Anm una frase che invece suona scontata: “È accaduta una cosa gravissima: il procuratore capo di Milano, titolare dell’ufficio presso cui pende un processo nei confronti di Berlusconi, ha ritenuto, davanti a tutti, facendo un chiaro riferimento a Berlusconi , in relazione a una frase del giurista francese Antoine Garapon su comportamenti anti-istituzionali dell’ex presidente Sarkozy, di affermare che qui in Italia di comportamenti anti istituzionali ce ne sono a iosa”. Sulla scia di Palma, altri falchi e pure colombe (Cicchitto per tutti) sono andati all’attacco dei magistrati. Tanto per cambiare.

“Italia omofoba, mi uccido perché sono gay”. L’articolo del Fatto Quotidiano a firma di Rita Di Giovacchino:

Sono gay, mi uccido”. Di lui sappiamo soltanto che aveva 21 anni, che abitava con la famiglia a Centocelle ed era uno studente universitario. Sabato notte ha scritto una lettera, poi si è incamminato per le strade del suo quartiere, ha raggiunto la Casilina, è entrato nel comprensorio dell’ex Pastificio Pantanella, è riuscito a entrare in uno dei palazzoni adibiti a uffici e abitazioni, ha raggiunto la terrazza e si è lanciato dall’undicesimo piano. Nel vuoto della notte più buia, un sabato sera in cui la solitudine si era fatta sentire più forte.

La sua lettera è un atto d’accusa contro l’omofobia: “L’Italia è un Paese libero ma l’omofobia esiste e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza”. Parole che denunciano uno stato di sofferenza e colpisce il fatto che i genitori distrutti dal dolore abbiano detto ai poliziotti del commissariato San Lorenzo, intervenuti dopo la tragedia, che non sapessero dell’omosessualità del figlio, che non si fossero accorti del suo turbamento e neppure erano in grado di dire che persecuzioni avesse subito. Ma forse anche questo non voler vedere, non voler capire da parte della famiglia, è stato al-l’origine del dramma che si è consumato in quel palazzo a lui sconosciuto: il ragazzo non aveva avuto il coraggio di dichiarare la proprio omosessualità neppure al padre e alla madre. È una più frequente di quanto si pensi che per qualche maledizione, proprio a Roma, dove la Chiesa sta manifestando aperture verso questo problema, con Papa Francesco che nei primi giorni del suo Pontificato ha pronunciato una frase rivoluzionaria in materia di sessualità (“Chi sono io per giudicare un gay”), nell’ultimo anno sono stati tre i ragazzi che hanno deciso di togliersi la vita. Un quarto, di appena 16 anni, ci ha provato e per fortuna non ci è riuscito.

Roma, inno alla gioia. Tevez e Higuain mordono. La Gazzetta dello Sport: “L’orchestra di Garcia suona a Udine la nona sinfonia: record in Europa Le inseguitrici però non mollano: la Juve con Carlitos-gol batte il Genoa Due rigori trasformati dal Pipita permettono al Napoli di superare il Toro.”

Vince anche in 10: è regina da record. L’articolo a firma di Luigi Garlando:

Un americano lancia la Roma americana. Bradley, la riserva di Borriello riserva di Totti, infilza l’Udinese e sognando lo scudetto può dire “yes we can”. E’ vero che la coppia Napoli-Juventus non molla, rimanendo a cinque punti dalla capolista grazie all’identico 2-0 contro Torino e Genoa, ma il segnale che arriva dal Friuli è forte e non va sottovalutato. Nove vittorie nelle prime nove partite, come nessun’altra squadra in Europa, suggeriscono giochi di parole, pensando a una riuscita prova del nove o alla nona sinfonia di Beethoven. Ma il gioco che piace di più è l’inno alla gioia suonato dall’orchestra giallorossa. Senza «il capitano», come lo chiama Garcia, senza Gervinho, e nella seconda parte della ripresa senza l’espulso Maicon, la Roma non si accontenta di difendere un preziosissimo pareggio su un campo imbattuto da 22 partite, dimostrando una volta di più di essere una squadra vera, in cui tutti sanno che cosa fare, anche partendo dalla panchina come Bradley. E non a caso proprio quando è in dieci arriva la rete del marcatore numero dieci in campionato, per un totale di 23 gol, miglior attacco come l’Inter che però ha incassato non 1 ma 11 gol. Con una significativa fotografia, che un anno dopo spiega meglio di qualsiasi discorso la clamorosa inversione di tendenza di questa squadra. Anche allora, infatti, alla nona giornata la Roma (di Zeman) affrontava l’Udinese, ma dopo essere andata in vantaggio, all’Olimpico, con due gol di Lamela, si fece ribaltare da una rete di Domizzi e una doppietta di Di Natale. Un 2-3 finale, con 14 punti, 13 meno di oggi, frutto di 4 vittorie, 2 pareggi e già 3 sconfitte, due in casa.