Lavoro, marito e moglie vicini o divisi per legge? Giovanna Zincone, La Stampa

di redazione Blitz
Pubblicato il 15 Aprile 2015 - 07:20 OLTRE 6 MESI FA
Lavoro, marito e moglie vicini o divisi per legge? Giovanna Zincone, La Stampa

Lavoro, marito e moglie vicini o divisi per legge?

ROMA – Coppie al lavoro, sì o no? La legge italiana vuole che all’insegnante delle scuole primarie e secondarie che chiede un trasferimento per avvicinarsi al coniuge vengano assegnati 6 punti bonus in graduatoria. Ma ai professori universitari è invece vietata la parentela fino al quarto grado all’interno della stessa struttura, anche se questo equivale a costringerli a vivere separati. A sottolineare la schizofrenia del sistema italiano è Giovanna Zincone in un articolo apparso sul quotidiano la Stampa:

Il primo provvedimento riguarda gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie, il secondo gli universitari. Agli accademici è vietata la parentela fino al IV grado sia con i professori del dipartimento che richiede quel posto, sia con chi opera nella struttura che presiede alla procedura (rettore, direttore generale, membro del Consiglio di amministrazione). E, per il ministero, questo significa anche: «Niente mogli e mariti nei paraggi».

Tuttavia, secondo il diritto, i coniugi non hanno legami di parentela o di affinità, ma di coniugio. Può suonare strano, ma è così. La diffidenza antifamilista del ministero, estesa al di là della legge, crea molti problemi sia alle sue vittime, sia agli atenei. È il giusto prezzo da pagare per tutelare il merito? Capisco che un ricercatore non debba far carriera solo perché ha sposato un collega brillante o accademicamente potente, ma la legge attuale prevede già una serie di meccanismi che dovrebbero evitare eccessi di favoritismo. Un’abilitazione gestita a livello nazionale e non locale da una commissione composta da quattro professori di università italiane e da uno di un Paese Ocse. I commissari sono estratti a sorte nelle rispettive liste e devono essere caratterizzati da criteri di qualità pari almeno a quelli che si richiedono ai candidati all’abilitazione.

Il percorso che si vuole precludere ai coniugi prevede, oltre all’abilitazione nazionale un’ulteriore selezione, da parte di una commissione composta per due terzi da professori esterni all’ateneo. È ovvio che questo meccanismo di garanzia non esclude pasticci: commissioni nazionali troppo larghe di manica o faziose, criteri di selezione dei commissari e dei candidati inadeguati, scelte a favore di colleghi meno eccelsi, ma più docili e così via. Tutto l’impianto è stato ampiamente criticato e le tornate fin qui effettuate hanno provocato prevedibili ricorsi. Comunque, rispetto ai vecchi tempi a me pare che si siano fatti notevoli passi avanti. Il che non esclude che non se ne possano fare altri. Ma suggerirei anche qualche passo indietro, ad esempio sulla misura anti coppie. Si noti a questo proposito che il trattamento schizofrenico dei coniugi a livello di scuole, da una parte, e di università, dall’altra, non è l’unica contraddizione che tali provvedimenti introducono nel nostro ordinamento.

La misura antifamilismo, infatti, equipara i conviventi ai coniugi. Così, la condizione giuridica delle coppie di fatto che i nostri parlamenti non sono mai riusciti a regolare in positivo (attribuendo qualche diritto) viene regolata in negativo (imponendo divieti e svantaggi, discriminando). Il carattere discriminatorio delle norme antifamilismo accademico ha sollevato dubbi di costituzionalità da parte di alcuni rettori, incluso Gianmaria Ajani, Rettore dell’Università di Torino. L’articolo 51 della nostra Costituzione impone, infatti, la parità di accesso agli impieghi pubblici, inoltre pare inammissibile che un atto amministrativo estenda la portata di un divieto rispetto a quanto prevede la legge. In attesa che si trovi una soluzione giuridica, io vorrei continuare a esprimere pesanti dubbi sull’opportunità di questa scelta. Il provvedimento rischia, infatti, di generare effetti perversi sulla qualità dei dipartimenti e delle università. In tutti i sistemi accademici del mondo il fatto che i coniugi non vogliano vivere separati costituisce una sfida per chi vuole reclutare studiosi di alto livello. Ma la risposta che si dà altrove, ad esempio in molte eccellenti università americane, è proprio il contrario di quanto prevede la interpretazione della legge italiana: se si vogliono ingaggiare docenti prestigiosi, si cerca di offrire una posizione anche ai loro coniugi purché qualificati.