Lavoro, Roger Abravanel: Poletti-Camusso, chi ha ragione?

di redazione Blitz
Pubblicato il 14 Dicembre 2015 - 10:57 OLTRE 6 MESI FA
Lavoro, Roger Abravanel: Poletti-Camusso, chi ha ragione?

Lavoro, Roger Abravanel: Poletti-Camusso, chi ha ragione?

ROMA – Quando il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha provato a “rottamare” l’ora lavoro definendola un parametro antiquato per valutare l’effettiva produttività di un lavoratore, la leader della Cgil Susanna Camusso lo ha liquidato definendolo un “Ufo Robot” e accusandolo di voler reinstaurare il lavoro a cottimo, quando cioè gli operai erano pagati in base al numero di pezzi che producevano. Ma la verità è che nel XXI secolo il sistema lavoro è cambiato e l’unico attore in campo a godere di un mantenimento dello status quo è oggi il sindacato, che viene progressivamente marginalizzato nella sua funzione di tutela, penalizzando le relazioni industriali e dunque la competitività generale.

Ne parla Roger Abravanel sul Corriere della Sera di domenica 13 dicembre:

Chi conosce il mondo del lavoro del XXI secolo, sa quanto è cambiato il contenuto e le competenze di chi è impiegato oggi nelle imprese industriali. Sono finiti i tempi quando operai alla linea di montaggio o impiegati allineati in grandi stanzoni erano occupati a produrre pezzi e fatture, eseguendo procedure decise dai capi. Oggi i manufatti sono molto più complessi, sia tecnologicamente sia operativamente, gli operai lavorano in squadra, modificano i progetti dei subcomponenti se non vanno bene e vanno all’estero da soli a montarli, quando bisogna assemblare l’intera macchina o fare la manutenzione. Persino l’assemblaggio di un’auto non è più la stessa cosa, il numero di varianti di un modello è enormemente più grande e la catena di approvvigionamento sulla linea è diventata una operazione molto più complessa, dove l’operaio ha un ruolo chiave nel risolvere problemi. Alla fine, anche nelle fabbriche conta sempre meno la «presenza» o l’«assenza» dell’operaio (ricordate l’assenteismo?) e sempre di più la qualità della sua prestazione. Il «cottimo» paventato da Susanna Camusso è poco concepibile, anche volendolo.
Ma c’è un altro aspetto importante. I lavoratori nelle fabbriche diminuiscono progressivamente, ormai l’occupazione è soprattutto nei servizi (telecomunicazioni, assicurazioni, commercio, turismo, professioni, trasporti) che oggi rappresentano l’80% dei posti di lavoro. Nei servizi, il tempo speso dal lavoratore conta ancora meno: non ci si aspetta più dall’addetta al check-in di un aeroporto solo che sia presente e accetti il più alto numero di passeggeri, ma che sappia risolvere problemi senza chiamare il capo scalo quando un volo è cancellato e il suo cliente-passeggero deve essere reindirizzato. L’addetto al call center di una società di telefonia o di una pay tv che deve risolvere un problema di un cliente spesso nervoso, non può essere valutato solo sul tempo che passa alla postazione o sul numero delle chiamate a cui risponde. Tanto più che le tecnologie digitali rendono inoltre il tempo fisicamente passato sul posto di lavoro ancor meno rilevante. Queste tendenze accelerano la marginalizzazione del sindacato iniziata con la riduzione dell’importanza dei contratti nazionali a favore di quelli aziendali. Il tema del rapporto «tempo-lavoro» ha aperto un vero vaso di Pandora. Oggi, un operaio o impiegato non deve essere più «tutelato» dal sindacato nei confronti di «capi» rappresentanti di un padrone sfruttatore. Il lavoratore con senso di responsabilità, spirito critico, capacità di risolvere problemi è lui stesso un «capo» e se ha un supervisore non è più qualcuno che controlla le sue pause, ma una persona che si preoccupa del suo grado di motivazione e di crescita per dare il meglio di sé. Nel XXI secolo, il lavoratore capace per l’azienda è diventato un patrimonio, che vale più di costose macchine automatizzate.
Per il sindacato queste tendenze sono un rischio quasi fatale perché lo escludono definitivamente dal suo ruolo storico di unica tutela del lavoratore (ovviamente solo quello iscritto). Resta il tema chiave di stabilire quelle relazioni industriali, dai contratti di lavoro ai sistemi di incentivazione, adatte al XXI secolo e non a quello scorso.