L’oasi di Tunisi. Bernardo Valli, La Repubblica

di Redazione Blitz
Pubblicato il 28 Ottobre 2014 - 12:04 OLTRE 6 MESI FA
Tunisi

Tunisi

ROMA – “La Tunisia resta un’oasi politica – scrive Bernardo Valli di Repubblica – La transizione democratica continua sull’altra sponda del Mediterraneo, tra Biserta e Gabes. Prosegue come promessa dalla dimenticata “primavera araba”, altrove degenerata nella violenza e spesso nel fanatismo”.

L’articolo completo:

L’islamismo, sia pure in una versione moderata quale è il partito tunisino Ennahda, ha perduto domenica la maggioranza; è stato superato in un libero voto da un partito modernista. Noi diciamo laico, ma per i musulmani è come dire ateo. E non è il caso. Più che nel risultato elettorale il vero evento risiede tuttavia nel processo avvenuto nelle urne, dove si è espressa la volontà popolare nel rispetto di una Costituzione da poco altrettanto liberamente concordata tra forze islamiste e anti islamiste. Le prime hanno rimesso in gioco il potere avuto con il voto del 2011, e non era del tutto scontato fino a qualche tempo fa. Poi non si sono più sentite investite dell’irrinunciabile missione di applicare la legge del Corano. E hanno imparato l’arte del compromesso trattando con le seconde. Non è un passo avanti da poco. È raro che questo avvenga senza violenza. Adesso l’alternanza democratica sta funzionando. Se l’orrore ha la meglio, nel Mashrek, nell’Oriente arabo, non è così in una società dell’Occidente arabo, nel Maghreb, dove si apre uno squarcio di normalità. Almeno per un attimo si appannano nelle nostre memorie le immagini degli ostaggi decapitati. Quel che sta accadendo in Tunisia è probabilmente fragile, imperfetto, e ha dimensioni ridotte, ma non è un miraggio. È un’oasi vera.
Ben Ali fu il primo raís a fuggire. Il 14 gennaio 2011 la folla riempì le strade di Tunisi e gli chiese di andarsene. E lui non perse tempo per rifugiarsi nell’Arabia Saudita. Il piccolo paese del Maghreb dette l’esempio. Il grande Egitto lo seguì. Mubarak dette le dimissioni poco dopo.
Ma quasi tre anni dopo i militari sono di nuovo al potere al Cairo, mentre a Tunisi la “primavera” continua. Era facile deragliare anche qui, perché come al Cairo i Fratelli musulmani (il partito Ennahda è la versione tunisina) hanno scippato la rivoluzione, il cui carattere all’origine tra il liberale e il libertario ha stentato a resistere all’irruzione religiosa. Tanto che l’aspirazione democratica è apparsa esaurita. Sfumata. Archiviata. Gli islamisti moderati e smarriti di Ennahda hanno stravinto le elezioni e arrivati al governo hanno dato l’impressione di non volerlo più abbandonare.
Come al Cairo, non sono stati tuttavia capaci di gestire l’economia; non hanno saputo tenere a bada i salafiti, che volevano subito il califfato; e ai quali sono stati aggiudicati due delitti politici di esponenti modernisti: quelli di Chokri Belaïd e di Mohamed Brahmi. Non hanno neppure saputo impedire ripetute fiammate di terrorismo. Soprattutto non hanno saputo conciliarsi la società civile che in Tunisia è forte e articolata. C’è un vecchio e potente sindacato operaio (l’UGTT); ci sono le associazioni degli industriali, dei commercianti, degli artigiani; la Lega dei diritti dell’uomo; e gruppi di donne disperse in vari settori della società nient’affatto disposte a rinunciare all’emancipazione femminile. Un’emancipazione avanzata nel tempo anche rispetto a quella dei paesi europei. L’aveva voluta Habib Bourghiba, l’autoritario fondatore della Tunisia indipendente che in Francia (anche nei periodi passati nelle sue prigioni) aveva ereditato principi repubblicani insoliti in un leader arabo del suo rango. Nella sua saggezza Bourghiba aveva voluto ad esempio un esercito modesto. Per l’ordine, anche politico, si serviva della polizia. Il suo successore Ben Ali non ebbe nessuno per difenderlo quando fu inseguito dalla sua gente in collera. Anzi l’esercito frustrato tenne a bada la polizia che poteva essere fedele al raís, il quale era un poliziotto.
Domenica i tre milioni di tunisini andati alle urne (nel 2011 erano stati più numerosi, quattro milioni) hanno inferto una severa lezione agli islamisti. Li hanno relegati al posto di secondo partito. Eppure Rashid Ghannouchi, il loro leader, aveva usato con spregiudicatezza per un capo religioso l’arte del compromesso, appena imparata. Nei negoziati per la nuova Costituzione aveva rinunciato a inserirvi la sha’ria, la legge coranica, e aveva riconosciuto la parità uomo donna. Non poca cosa per un islamista. Ma l’impopolarità crescente e soprattutto gli avvenimenti del Cairo, vale a dire la cacciata dal potere dei Fratelli musulmani, nel luglio 2013, e l’arresto di Morsi, il loro presidente, da parte dei militari, hanno ridimensionato le ambizioni di Ghannouchi. L’hanno impaurito. Ennahda non si sentiva più inamovibile dal governo e ha rispettato il calendario delle nuove elezioni e quindi il principio dell’alternanza.
Beji Caïd Essebsi, 88 anni, il capo del partito modernista (o laico) arrivato in testa (Nidaa Tounes), non è certo un uomo nuovo della vita politica tunisina. È stato ministro con i precedenti presidenti e tra i dirigenti del suo partito non mancano esponenti del vecchio regime. Gli uni dicono che sono lì per ristabilire i poteri di un tempo, gli altri sostengono che servono per la loro esperienza. Beji Caïd Essebsi è comunque un uomo legato al ricordo di Bourghiba, che univa due personalità: quella di un satrapo arabo e quella di un politico della Terza repubblica francese, che in verità non era mai stato. Bourghiba era sostanzialmente un laico ed Essebsi lo è altrettanto. Come tale ha trattato con l’islamista Ghannouchi ed è riuscito a intendersi, anche con l’aiuto americano. Tra breve dovranno probabilmente gettare le basi per un governo comune, poiché né l’uno né l’altro ha la maggioranza per costituirlo da solo: non vi parteciperanno direttamente ma ne ispireranno la linea di condotta. Islamisti e laici hanno già governato insieme negli ultimi mesi e quindi non sarà un’impresa difficile. Sono due partiti conservatori e si intenderanno se non riemergerà tra di loro il Corano. Così si installa la democrazia tunisina. Le incognite sono tante. Alcune preoccupanti. La Tunisia fornisce allo Stato islamico, al califfato, quello che in Siria e in Iraq decapita gli ostaggi e impone la sha’ria, il maggior numero di combattenti. Almeno due, tremila giovani sono fuggiti dalle famiglie per raggiungere i jihadisti. Di alcuni si sa che sono morti. Degli altri nulla.