Londra, rigore su immigrati dall’Est Europa. Parigi e Berlino pronte ad allinearsi

di Redazione Blitz
Pubblicato il 28 Novembre 2013 - 11:19 OLTRE 6 MESI FA
Londra, il rigore sugli immigrati dall’Est Europa

David Cameron (LaPresse)

ROMA – David Cameron vuole rendere la vita più difficile agli immigrati europei che non hanno certezza di lavoro e vuole ridiscutere la libertà di movimento delle persone nell’ambito Ue, vale a dire il pilastro sociale dell’Unione.

Scrive Fabio Cavalera sul Corriere della Sera:

Con un articolo sul Financial Times di ieri («stiamo cambiando le regole in modo che chi arriva in questo Paese non possa aspettarsi di ottenere immediatamente sussidi di sostegno») e con un intervento alla Camera dei Comuni, il premier britannico, appoggiato dai suoi alleati liberaldemocratici e con i laburisti che gli danno dell’«ossessionato» ma che convergono sulla opportunità di un «nuovo sistema equo e trasparente», ha messo in chiaro che non intende cedere di una virgola su un tema sul quale si gioca la faccia. Le norme saranno inasprite (gli immigrati non avranno «aiuti» per i primi tre mesi e saranno prelevati e rimpatriati se sorpresi a mendicare o se privi di un tetto), in generale i cittadini europei perderanno il diritto al welfare se non avranno una fonte di reddito certa o se non saranno attivi nel cercarla.

Determinato nel tirare la corda con Bruxelles e con gli alleati continentali, David Cameron ha insistito sulla necessità «di siglare un nuovo accordo in ambito europeo che riconosca la libertà di movimento come un principio basilare della Ue ma non un principio assoluto». Allo stato dell’arte, nella visione di Downing Street, è solo il «detonatore» di migrazioni fuori controllo. Dunque non è più condivisibile e accettabile.

Non importa che questa sortita abbia provocato la sdegnata reazione del commissario Ue all’occupazione e agli affari sociali, Laszlo Andor, (…). Londra lo sapeva benissimo. Piuttosto, ciò che al premier stava e sta a cuore è alzare l’asticella dello scontro cogliendo al volo l’occasione che gli si presenta davanti, ovvero la liberalizzazione degli ingressi di cittadini rumeni e bulgari a partire dal gennaio 2014, come previsto dall’intesa siglata nel 2007 al momento dell’adesione di Romania e Bulgaria alla Ue. I sondaggi hanno evidenziato un profondo malessere della popolazione e Cameron sfrutta la scia per allargare il dibattito e alzare i toni della polemica antieuropea.

Le previsioni sono alquanto incerte sul flusso di lavoratori previsto da Sofia e Bucarest: c’è chi dice che non saranno più di 8 mila all’anno (l’ambasciatore rumeno), chi ipotizza 13/15 mila (alcuni uffici governativi) e chi addirittura 300 mila entro il 2019 (…). Ma i numeri valgono fino a un certo punto, anche se l’onda polacca cominciata dal 2004 (600 mila arrivi) ha lasciato il segno. Quello che conta per il governo di sua maestà è sia disincentivare, sia punire le illegalità di chi sfrutta i migranti (gli imprenditori che assumono con salari al di sotto del minimo garantito o in nero pagheranno multe quadruplicate), sia avvertire l’Europa che uno dei capisaldi su cui è cresciuta l’Unione non è la bussola della politica sull’immigrazione.

Il pacchetto di provvedimenti è molto severo (c’è l’accesso al servizio sanitario nazionale garantito unicamente se accompagnato dal versamento di contributi e c’è la perdita dell’indennità di disoccupazione se non si è attivi nella ricerca di un impiego). Cameron sostiene che è in linea con le restrizioni in vigore in altre capitali europee (Parigi e Berlino secondo il Financial Times sono pronte ad allinearsi a Londra sulle posizioni più dure) e intende accelerarne l’approvazione nelle prossime settimane. Giusto per dare un segnale agli elettori e ai tory insoddisfatti, suggestionati dalla destra dello UKIP, l’Independence Party di Nigel Farage (…)

E anche George Soros, come riporta il Sole 24 ore, interviene sulla questione:

Milioni di persone stanno soffrendo in tutta Europa per la disoccupazione e la prospettiva di un lungo periodo di ristagno economico, ma il gruppo più colpito di tutti è senz’altro quello Rom.

Ci sono più di dieci milioni di Rom in Europa, perlopiù concentrati nei Balcani e nei nuovi Stati membri dell’Unione europea, soprattutto in Romania, Bulgaria, Slovacchia e Ungheria. La cosa più sorprendente è che le loro condizioni di vita sono notevolmente peggiorate da quando molti di loro sono diventati cittadini della Ue e, al tempo stesso, l’atteggiamento generale in quasi tutta l’Europa è diventato più ostile.

Queste due tendenze si stanno vicendevolmente esacerbando: l’emarginazione alimenta il disprezzo e viceversa. L’unica via d’uscita da questa trappola è un investimento nell’istruzione che porterebbe enormi dividendi a livello sociale. Basti pensare, per esempio, che i Rom rappresentano più del 20% delle nuove leve per la forza lavoro dei Paesi citati.

La buona notizia è che sappiamo come preparare i bambini Rom a diventare elementi produttivi della società. La mia Fondazione si occupa dell’educazione dei Rom da più di 25 anni durante i quali abbiamo garantito un’istruzione a una piccola schiera di giovani Rom che riconosce la propria identità ed è in grado di smentire gli stereotipi ostili delle persone con le quali si trova a interagire.

Nel 2005 abbiamo fondato, insieme alla Banca Mondiale, il Roma Education Fund (ovvero il Fondo per l’istruzione dei Rom). Il Ref è pronto ad aiutare le autorità nazionali dell’Unione europea per migliorare la loro azione nell’istruzione dei bambini Rom. I suoi programmi coinvolgono più di 100mila studenti l’anno, fra cui più di 1.600 universitari che usufruiscono di borse di studio.

Ma questi numeri non sono purtroppo nemmeno lontanamente adeguati alla grandezza del problema. La metà dei Rom è in età scolare e la popolazione sta crescendo più rapidamente della capacità del Ref. Il budget annuo del Fondo è solo di 12 milioni di euro (16,3 milioni di dollari) di cui la mia Fondazione copre quasi la metà, e facciamo difficoltà a raccogliere altri fondi. Questo è inaccettabile. I programmi elaborati dal Ref dovrebbero essere sostenuti dai Governi con l’aiuto dell’Unione europea, e resi accessibili a tutti i bambini Rom d’Europa (…)

Per far cadere gli stereotipi negativi, i bambini Rom devono essere educati a onorare la loro identità ed esserne fieri. Ed è proprio questo che ha fatto il Ref. I Rom che hanno ricevuto un’istruzione non rientrano negli stereotipi e così possono integrarsi facilmente al resto della popolazione, eppure permane l’ostilità dei più. Se la linea del Ref venisse adottata da tutti, faremmo passi da gigante nella lotta a questi pregiudizi.

Ma l’educazione non basta. I Rom devono anche trovare un lavoro. Una soluzione durevole implica che l’Europa costruisca una classe lavoratrice Rom. Anche qui il settore privato ha un ruolo importante. Gli esperti della Commissione europea e delle mie fondazioni stanno sviluppando un progetto dimostrativo per aprire gli stage del settore privato ai giovani Rom iscritti alle scuole professionali.

La Romania ha già avviato un programma simile per la maggioranza della popolazione e il ministro dell’Istruzione Remus Pricopie ha chiesto che venga aperto anche ai Rom. Faccio appello agli altri Governi affinché adottino misure simili.

Diciamolo chiaramente: c’è un problema Rom in Europa e si sta aggravando. Ma il problema e il suo aggravamento rispecchiano una combinazione letale di radicata ostilità e perseverante negligenza (…)