“M5s, la proposta: indennità per le deputate incinte”, Franco Bechis su Libero

"M5s, la proposta: indennità per le deputate incinte", Franco Bechis su Libero
Beppe Grillo (LaPresse)

ROMA – “M5s, la proposta: indennità per le deputate incinte” è il titolo dell’articolo a firma di Franco Bechis sulle pagine di Libero:

Non ci avevano pensato né nella prima né nella seconda Repubblica. Ma forse ai deputati e alle deputate può arrivare una delle poche cose che ancora manca al loro status: l’indennità di maternità e i congedi parentali che riguardano mamma e papà per i primi anni di vita dei figli. E a sorpresa i diritti dell’onorevole mamma e perfino del mammo sono chiesti a gran voce proprio dal gruppo politico che più ha battagliato in questi anni nei confronti dei privilegi della casta e dello status dei parlamentari: il Movimento cinque stelle. È infatti appena stata stampata alla Camera per la sua assegnazione alla commissione affari costituzionali una proposta di legge di cui prima firmataria è Roberta Lombardi, l’ex capogruppo del movimento fondato da Beppe Grillo (poi lasciò per la rotazione degli incarichi e anche per la maternità incombente), ma che è firmata in rigoroso ordine alfabetico da tutti i deputati a cinque stelle.

La proposta modifica la vecchia legge del 31 ottobre 1965 (la n.1261) che stabilisce «il trattamento economico e previdenziale spettante ai membri del Parlamento». E la principale novità è proposta è proprio quella della conquista della protezione sociale ed economica della maternità e della paternità che gli eletti in Parlamento non hanno mai avuto, a differenza di tutti gli altri lavoratori dipendenti. Il perché è abbastanza semplice: gli eletti non sono lavoratori dipendenti, e per l’opinione pubblica quello del parlamentare non è nemmeno un vero lavoro. La Lombardi e i suoi colleghi riscrivono per la verità tutta la legge sul trattamento economico dei deputati, e qualche novità interessante ci sarebbe. Però nei suoi caposaldi fondamentali – il quantum- nella versione a 5 stelle i deputati continuerebbero ad avere il diritto di percepire più o meno quanto ricevono oggi. L’indennità parlamentare base netta è infatti attualmente di 5.246,97 euro, che diventano 5.007,36 per i parlamentari che continuano a fare un lavoro da cui percepiscono più del 15% dell’indennità parlamentare.

La nuova proposta è di 5 mila euro netti mensili per tutti, che non modificano granchè lo status. Poi c’è la diaria per il rimborso delle spese di soggiorno a Roma. Oggi ammonta a 3.500 euro al mese, su cui dovrebbero essere adoperate trattenute per le assenze in Parlamento. Nella versione a 5 stelle l’importo della diaria resta identico, ne vengono però esclusi i deputati residenti a Roma (che ovviamente non hanno alcuna spesa in più per soggiornare nella capitale. È argomento di buon senso che però negli anni passati sembrava tabù). E, altra novità sostanziale, per essere erogati quei 3.500 euro al mese debbono effettivamente essere stati spesi, perché bisogna presentare alla Camera per giustificarli la documentazione di spesa che li motiva (contratti di affitto, ricevute di albergo, ricevute di ristoranti). Ai deputati spetta anche un rimborso spese parte forfettario e parte no di 3.690 euro al mese per l’esercizio del proprio mandato rappresentativo (con quella somma si possono pagare anche i cosiddetti portaborse). La cifra resta identica anche nella versione a 5 stelle, ma anche in questo caso bisogna documentare effettivamente le spese e non incassare a forfait (i rimborsi ancora oggi sono di fatto stipendio aggiuntivo esentasse).

Nella proposta di legge si abolisce anche l’indennità di fine mandato (che oggi ammonta all’80 per cento dello stipendio mensile lordo moltiplicato per gli anni della legislatura), però la si sostituisce con un tfr vero e proprio che equipara i deputati ai comuni lavoratori dipendenti. Poche modifiche al sistema previdenziale, perché oggi per tutti i deputati è già previsto il metodo contributivo. L’età della pensione è prevista in 65 anni con almeno 5 anni di mandato svolto. La vera novità resta dunque quella dell’estensione ai deputati della legge sui congedi parentali del 2001 che provocherebbe l’astensione obbligatoria dal lavoro durante i mesi di maternità previsti dalla legge, e la possibilità dei congedi pagati al 30% sia per madre che padre del nato durante i primi tre anni di vita.

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