Maledizione Tonino: arrestate le vamp Idv. Filippo Facci, Libero

di Redazione Blitz
Pubblicato il 26 Giugno 2014 - 10:55 OLTRE 6 MESI FA
L'articolo di Libero

L’articolo di Libero

ROMA- La notizia dell’arresto di Marylin Fusco e Maruska Piredda ha spinto Filippo Facci di Libero, a fare un quadro dei problemi giudiziari che hanno colpito Italia dei Valori, il partito fondato da Antonio Di Pietro, ex poliziotto, ex pm e poi eroe di mani pulite prima di entrare in politica fino a diventare anche ministro. 

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La notizia non sarebbe neanche molto interessante: hanno arrestato dei dipietristi, capirai. Ma, per cominciare, sono due donne: sono le consigliere regionali della Liguria Marylin Fusco e Maruska Piredda, ora agli arresti domiciliari per l’inchiesta sulle spese pazze dell’ex gruppo dell’Italia dei Valori.

La Fusco per la precisione sarebbe ex dipietrista (destino di tutti i dipietristi, prima o poi) ma entrambe sono accusate di peculato e sono due tipe originali come i loro nomi. La Fusco è una vera vamp, sempre in tiro.

La Piredda qualcuno la ricorderà: si evidenziò come hostess pasionaria dell’Alitalia nel 2008 (divenne un personaggio corteggiato dal mondo dello spettacolo) e si catapultò in politica con alterne fortune. Ora le due donne seguono il malefico destino che sembra accompagnare tutti i personaggi che Antonio Di Pietro tocca o sfiora.

«Anche Cristo sbagliò uno dei 13 apostoli» disse il fondatore dell’Italia dei Valori nel 2010, quando la scia giudiziaria e immorale del suo partito si era fatta grottesca.

Sì, perché sembrava che Di Pietro gli apostoli li avesse sbagliati tutti e 13: Antonio Razzi e Domenico Scilipoti erano appena passati da anonimi parlamentari Idv a salvatori della maggioranza berlusconiana: poi fu indagato Vincenzo Maruccio, tesoriere Idv alla Regione Lazio e già soprannominato «il Fiorito Idv». Passava un mese ed ecco il caso di Paolo Nanni, consigliere provinciale Idv a Bologna indagato per peculato: fu accusato di essersi intascato soldi del partito e spuntarono ricevute esorbitanti per cene e convegni fantasma.

Di seguito la disavventura del parlamentare Amerigo Porfidia, già sindaco di Recale (Caserta) indagato con un’accusa di coinvolgi- mento con cosche della camorra. E non si era ancora spenta l’eco del caso che aveva riguardato Cristiano Di Pietro, figlio di Tonino ed ex poliziotto, coinvolto nello scandalo napoletano dell’imprenditore Alfredo Romeo.

Stavamo per dimenticare anche Sergio De Gregorio, eletto in Senato conl’Idv e passato al centrodestra in pochi mesi: indagato anche lui. Non si tratta di fare censimenti: ma l’aura negativa di Di Pietro sembra non spegnersi mai.

Se diciamo che forniremo solo pochi altri esempi tra tantissimi – e conosciamo il tema – non è un modo di dire. Andiamo a ritroso e ripartiamo da quel 2010. In quel periodo venne fuori che Di Pietro si era ritrovato a cena sul Mar Nero con una serie di inquietanti personaggi bulgari, tra i quali uno, il boss mafioso Ilia Pavlov, verrà ammazzato da un killer pochi mesi dopo.

Ancora: forse senza volere, Di Pietro si ritrovò a convivio pure con Vincenzo Rispoli, presunto boss della ’ndrangheta di Legnano,successivamente arrestato. I giornali parlarono anche della nota cena che Tonino fece col funzionario del Sisde Bruno Contrada nove giorni prima che Contrada fosse arrestato per mafia. Nel 2008 si ritrovò a fare due comizi ad Amantea, in Calabria, con Franco La Rupa, già allora indagato per brogli elettorali e condannato per abuso, poi riarrestato con l’accusa di aver ricevuto aiuti elettorali alle regionali del 2005 da parte della ’ndrangheta capeggiata da Tommaso Gentile, infine in attesa di giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa.

Ancora: nel 2004, alle comunali di Foggia, Di Pietro appoggiò Riccardo Leone (Sdi) che vantava condanne definitive per ricettazione, rapina continuata, resistenza a pubblico ufficiale, violenza privata, furto continuato e furto in concorso, evasione, danneggiamento continuato e violenza privata continuata, oltre ad aver passato due anni in un manicomio giudiziario.

Non stiamo scherzando. Un altro candidato appoggiato da Di Pietro, Domenico Padalino, vantava due condanne definitive per furto, oltraggio a pubblico ufficiale, in osservanza dei provvedimenti dell’autorità e resistenza a pubblico ufficiale, oltre a essere indagato per porto abusivo d’armi.

Il suo capogruppo regionale Idv in Campania, nel 2008, un tizio con diverse imprese impegnate nel settore rifiuti, si vede ritirare più volte il certificato antimafia dalla Prefettura. E se andiamo più a ritroso nel tempo le cose peggiorano. Il proprietario della Aster – azienda che il giovane Di Pietro sorvegliava negli anni Settanta, quando era un imberbe dipendente del ministero del- l’Aeronautica – è stato condannato per associazione mafiosa a 3 anni e 6 mesi per lo scandalo della scalata del casinò di Sanremo. L’appuntato della Polizia Roberto Stornelli, amicone di Di Pietro quand’era vice commissario in via Poma a Milano, poi cooptato nella squadra di Mani pulite, nel 1996 è stato condannato a tre anni di carcere per corruzione dopo la derubricazione delle accuse di mafia.

Un ex commercialista di Di Pietro, l’uomo che redigeva il suo 740 nel 1996, il primo febbraio di quell’anno fu arrestato a margine di un’indagine su un giro di squillo. Mentre un poliziotto della scorta personale di Di Pietro, nell’autunno del 1996, fu arrestato a margine di un’indagine su un giro di puttane. Poi c’è il segretario personale di Di Pietro quand’era magistrato a Bergamo, il maresciallo Giuseppe DiRosa: nel 1985 fu arrestato per concussione mentre incassava una mazzetta da dieci milioni.

Il costruttore Antonio D’Adamo, uomo da cui il magistrato Di Pietro accettò cento milioni in prestito senza interessi, finì sotto processo per turbativa d’asta e corruzione. Altri amici e dispensatori di favori e case del giro socialista e democristiano (da Paolo Pillitteri ai cassieri Sergio Radaelli e Maurizio Prada, l’architetto Claudio Dini, l’imprenditore Valerio Bitetto e altri ancora) nel 1992 finirono quasi tutti in galera. Continuiamo? Anche perché Di Pietro è politicamente morto, ma la maledizione come ieri, in Liguria continua dopo di lui.