Marco Travaglio: ombre su Giorgio Napolitano e famiglia, sarebbe da Watergate ma i giornali si girano di là

a cura di Sergio Carli
Pubblicato il 12 Luglio 2015 - 09:42 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio: ombre su Giorgio Napolitano e famiglia, sarebbe da Watergate ma i giornali si girano di là

Marco Travaglio: ombre su Giorgio Napolitano e famiglia, sarebbe da Watergate ma i giornali si girano di là

ROMA – Marco Travaglio legge i giornali italiani sul caso aperto dalle intercettazioni pubblicate nei giorni precedenti sul Fatto, di cui è direttore e trova conferma della anomalia della stampa italiana, la sua subalternità alla politica di parte. Le intercettazioni sono quelle della telefonata fra Matteo Renzi e Michele Adinolfi, oggi vice comandante generale della Guardia di Finanza, quella della conversazione fra lo stesso Adinolfi, Luca Lotti, il braccio destro di Renzi e Mario Fortunato, ex capo gabinetto di Giulio Tremonti alle Finanze, quella di un’altra telefonata in cui il presidente di Confindustria Sicilia attribuisce ad Adinolfi pesanti giudizi sulla famiglia dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, cosa che Adinfoli ha prontamente smentito.

In quelle intercettazioni, la cosa che ha fatto il giro del web è stato il giudizio impietoso di Renzi su Enrico Letta (“Non è cattivo, proprio non è capace“), cosa che non costituisce una scoperta per i tanti italiani che ancora non hanno rimosso l’incubo di un Governo che a forza di bamblinare su Imu e Tasi e tasse varie invece di ridurcele ce le ha aumentate. Le parole gravissime sono però quelle dette fra i tre personaggi, Adinolfi, Lotti e Fortunato, a un tavolo della Taverna Flavia di Roma e quelle attribuite (e smentite) a Adinfolfi.

Ce ne sarebbe di che montare un bel can can, almeno quanto quello su prostitute minorenni e bunga bunga che portò alla caduta di Berlusconi. Ma Napolitano è un’altro soggetto e i giornali italiani, dopo quasi mezzo secolo ancora mesmerizzati dal mito del Watergate  che poi era solo la spiata di un funzionario del Fbi che voleva vendicarsi di Nixon, avvolgono le rivelazioni del Fatto in una cortina di melassa.

Come non essere d’accordo con Marco Travaglio quando scrive:

“In un altro paese tutta la stampa stazionerebbe sotto Palazzo Chigi e non leverebbe l’assedio finché non avesse ottenuto le dovute spiegazioni dal premier sui suoi rapporti con Berlusconi e con i vertici della Guardia di Finanza, nonché sulle parole dei suoi fedelissimi sull’asserita ricattabilità dell’ex presidente Napolitano per i presunti altarini del figlio Giulio”.

C’è forse chi ricorda che la giustificazione morale alla guerra della sinistra a Berlusconi fu il rischio sicurezza costituito dalle sue frequentazioni postribolari a domicilio.

Invece, constata Marco Travaglio,

“siamo in Italia e anche questo affare di Stato, dopo qualche lancio di agenzia, articolo di giornale e servizio, verrà archiviato […]. E morta lì. Il copione è lo stesso seguito per vent’anni dagli house organ berlusconiani a ogni scandalo del Caimano: il problema non è ciò che dicono gli intercettati, ma che siano stati intercettati; che i nastri siano finiti su un giornale; e che si parli di fatti privi di rilevanza penale. Solo che nell’Era Berlusconi a fare da contro canto c’erano i giornali e il tg di sinistra, che rivendicavano il diritto-dovere della stampa di pubblicare atti depositati anche di fascicoli archiviati e ricordavano che non tutto ciò che è penalmente irrilevante è politicamente e moralmente lecito.

Ora invece a sinistra tutto tace, anzi acconsente. […]

C’è la presuntaUnità, che al tema politico del giorno non dedica neppur una didascalia, avendo ben altre notizie, in esclusiva mondiale: “Via i camion-bar dai Fori imperiali”, a imperitura gloria del sindaco Marino. A pag. 7 Matteo Renzi in persona risponde ai lettori. Qualcuno gli avrà chiesto di Adinolfi e Napolitano? Purtroppo no. Ti piace lo gnocco fritto? “Magari, non sono nemmeno ingrassato”. Sei pentito dell’appoggio a Marchionne? “Io no. Tu?”

Repubblica all’affaire dedica due pagine. Nessun cenno nei titoli ai Napolitanos: non esageriamo. La notizia è l’unica cosa nota pure ai bambini: Renzi giudicava Letta un incapace. E vabbè. Ma il meglio arriva nel “retroscena”, lo spazio un tempo riservato a notizie e voci rubate ai politici. Ora invece, quando Renzi non vuol parlare ufficialmente, chiama il retroscenista: un ventriloquo che impapocchia le sue frasi con formule tipo “confida Renzi ai suoi collaboratori…”.

Dunque leggiamo [l’articolo di Goffredo De Marchis su Repubblica di sabato 11 luglio 2015: “A Palazzo Chigi dicono che ‘si sa che può andarecosì’”. Cosa? Boh. “Certe sorprese dalle inchieste ‘vanno messe nel conto’”. Quali sorprese, visto che a parlare erano Renzi e i suoi? Mistero. “Sono intercettazioni senza profilo penale di un’indagine in parte archiviata”: Berlusconi non avrebbe saputo dire meglio.

“Renzi non pensa a manovre a orologeria”. Ah ecco. “Business as usual, ripete”. […] “Il fastidio però filtra. E c’è il timore che possano moltiplicarsi episodi di questo tipo”: dipende da cos’ha fatto e detto. “Renzi ha usato il suo schema classico: rilanciare,non arretrare di un passo”. Pancia in dentro, petto in fuori. Marciare non marcire. È l’aratro che traccia il solco, ma è Twitter che lo difende.

“Basta leggere tra le righe del post su Facebook”. Ecco, tra le righe.“Rimane l’amarezza”. Mo’ me lo segno. “Se non corriamo, è colpa loro”: di Berlusconi, Monti e Letta. Sua, mai. “Legge e rilegge le intercettazioni” e “non ci trova niente di scandaloso”: niente, lui. “Alcuni vicini a lui sussurrano che ‘certe conversazioni non dovrebbero mai uscire’”. Si sa come sono i vicini: sussurrano. “Renzi però non si descrive indignato e non vuole fasciarsi la testa”. No che non se la fascia. “Non c’è niente da chiarire, è la sua linea”. […]

Ci sarebbe poi quel “tu” da pappa e ciccia col generale Adinolfi, che gli manda cravatte e gli dà dello stronzo. Ma “i sindaci ogni giorno devono chiedere ai finanzieri di intervenire sulla città per mille motivi”.E certo, c’è un marciapiede rotto o un dehor abusivo e il sindaco chi chiama? Il comandante interregionale della Finanza.Tutto regolare. “Si ostenta grande tranquillità”. Dai, Matteo, non è niente. È tutto finito”.