Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Che film ha visto”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Agosto 2015 - 08:45 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Che film ha visto"

La prima pagina del Fatto Quotidiano

ROMA – “Che film ha visto” è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di giovedì 27 agosto.

Ripensando alla terrificante frase di Renzi – “Il berlusconismo e per alcuni aspetti l’antiberlusconismo hanno messo il tasto pausa al ventennio italiano, impedendoci di correre”–viene da esclamare: magari! Se davvero l’Italia fosse rimasta per vent’anni in pausa, congelata nel freezer come un sofficino Findus, come Woody Allen ibernato e poi scongelato due secoli più tardi nel film Il dormiglione, oggi basterebbe pigiare il tasto“play”,o “sbrina” e ripartire da dove ci eravamo fermati. Cioè dall’inizio del 1994, quando il debito pubblico era al 121% del Pil, cioè a 11 punti meno di oggi e alla metà in valori assoluti (mille miliardi rispetto agli attuali 2.200).

Quando gli italiani erano talmente immersi in Tangentopoli da aver capito che il disastro economico e finanziario non era colpa dell’Europa, della Germania, della Grecia, della crisi globale, ma del combinato disposto di tre illegalità tutte italiane: corruzione, evasione fiscale e mafie. Infatti avevano appena abolito il finanziamento pubblico dei partiti e, con le manifestazioni sotto i tribunali, i presidi sotto il Parlamento e le contestazioni ai tangentari per strada, l’avevano costretto ad abolire l’autorizzazione a procedere per le indagini. L’uomo più popolare d’Italia era Di Pietro e il più impopolare era Craxi, non perché l’uno fosse un santo e l’altro un diavolo, ma perché simboleggiavano l’uno la legalità e l’altro l’illegalità. E, per vincere, B. dovette abbracciare il primo e scaricare il secondo. Il sistema dell’informazione, pur con tutti i suoi difetti, non aveva ancora perduto il senso dell’orientamento: quando, all’inizio del 1994, B. cacciò Montanelli dal Giornale da lui fondato perché rifiutava di trasformarlo nell’house organ di FI, tutta la stampa, la Rai e persino un pezzo di Fininvest insorsero a una sola voce.   Oggi soltanto un ragazzotto ignorante e superficiale, oppure   – fate voi – molto furbo ma poco intelligente può dipingere questo ventennio come “una rissa ideologica permanente che ha impantanato l’Italia in discussioni sterili interne mentre il mondo correva”. Nella sua visione piatta, superficiale, monodimensionale della realtà, tipica dei selfisti, dei twittatori e dei navigatori della realtà virtuale, Renzi ignora la complessità della storia (o forse gli conviene ignorarla perché deve di nuovo mendicare i voti di B. e Verdini per la controriforma costituzionale).Non vede,o finge di non vedere, che in questi vent’anni l’Italia non è stata affatto bloccata, congelata, impantanata. Anzi, non ha mai smesso di correre: verso il precipizio, però.

Oggi Antonio Padellaro ricorda tappa per tappa l’interminabile corsa nel tunnel degli orrori di un Paese guidato da B. con i caperonzoli del centrosinistra “riformista” e “dialogante” nel ruolo di mosche cocchiere. Renzi divide la storia d’Italia tra un “avanti Matteo”e un“dopo Matteo”.E pensa di archiviare il ventennio come si chiude una parentesi, con un tratto di penna, anzi con un tweet: senza un’analisi, un esame di coscienza, un’epurazione almeno politica e culturale. Per vent’anni non è successo niente, a parte le risse tra berlusconiani e antiberlusconiani. Poi arriva lui e si ricomincia a correre. Magari! Il dramma è che in questi vent’anni l’Italia è peggiorata fino alla rovina, non perché sia rimasta ferma (magari?), ma perché ha camminato a passo di corsa, ma nella direzione sbagliata. Non perché i governi non abbiano fatto nulla, ma perché hanno fatto troppo e quasi sempre male (eccetto il Prodi-1): i tre governi Berlusconi, per i motivi a tutti (o quasi) noti; i governi D’Alema, Amato, Prodi-2, Monti, Letta e Renzi perché, lungi dal praticare e predicare l’antiberlusconismo, hanno proseguito il berlusconismo completandone l’opera (…)