Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Chi spera, chi spara”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 10 Aprile 2015 - 08:14 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Chi spera, chi spara"

La prima pagina del Fatto Quotidiano

ROMA – “Chi spera, chi spara” è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di venerdì 10 aprile.

Forse esagera Gherardo Colombo, sopraffatto dall’emozione per l’assassinio dell’ex collega e amico Ferdinando Ciampi, quando collega la sparatoria di ieri al Palazzo di Giustizia di Milano al “brutto clima” che si respira intorno alla magistratura. Ma il folle ragionamento che ha portato il killer Claudio Giardiello a incolpare per la sua bancarotta non se stesso, ma il giudice, il pm e il coimputato-testimone, e a scaricare su di loro il piombo della vendetta, non è inedito né isolato. Sono trent ’ anni che qualunque potente finisca alla sbarra per i propri delitti se la prende regolarmente con i magistrati che l ’ hanno scoperto, invece di guardarsi allo specchio e battersi il mea culpa sul petto.

E siccome gli imputati eccellenti possiedono giornali e tv, o hanno amici che li possiedono, o avvocati in Parlamento, o magari vi siedono essi stessi, sono riusciti a dirottare l ’ attenzione dai crimini e da chi li commette verso i pm che li smascherano e i giudici che li processano. Da dove nasce l ’ ossessione con – tro i magistrati, i pentiti, i testi – moni e le intercettazioni, che ha prodotto una raffica di leggi per smantellare i più preziosi stru – menti di indagine e di raccolta delle prove, se non dall ’ ansia di una classe dirigente ad altissimo tasso criminale di liberarsi del controllo di legalità per delin – quere indisturbata? È la stessa radice “ culturale ” che ha appena prodotto la legge – unica al mondo – sulla responsabilità civile dei magistrati, che consente a qualunque imputato (nel pena – le) o denunciato (nel civile) di chiedere i danni allo Stato – senza filtri di ammissibilità – per qualsiasi decisione sgradita del suo giudice, nella speranza di costringerlo ad astenersi, cioè di sbarazzarsene al più presto e di trovarne un altro più morbido o più spaventato.

Il killer Claudio Giardiello non disponeva di questi strumenti per spaventare i suoi giudici. Non aveva un partito alle spalle, né avvocati famosi e/o parlamentari, né tv o giornali dispo – sti a scatenare campagne mediatiche a suo favore. Non poteva contare su una maggioranza parlamentare pronta ad approvare mozioni sulla nipote di Mubarak. Né sguinzagliare 150 fra deputati e senatori per cingere d ’ assedio il Palazzo di Giustizia di Milano, come fecero gli eletti del Pdl l ’ 11 marzo 2013, prima con un s i t- i n sulla scalinata e poi con l ’ ascesa in massa fino all ’ aula di Tribunale al quarto piano, dove si celebrava una delle ultime udienze del processo Ruby. Chissà se quell ’ indegna gazzarra è tornata in mente al cosiddetto ministro dell ’ Interno Angelino Alfano. Il quale, due anni fa, guidava la falange berlusconiana all ’ assalto del tribunale milanese (…)