Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Gli insaputi”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 29 Gennaio 2014 - 08:31 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Gli insaputi"

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Gli insaputi”

ROMA, 29 GEN – “Gli insaputi”, questo il titolo dell’editoriale di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano. “A leggere i giornali e a vedere i tg – scrive Travaglio – pare che un bel mattino di quattro anni fa i magistrati cattivi si siano svegliati e abbiano deciso di inquisire il povero Scajola, costringendolo a dimettersi da ministro in combutta con la stampa forcaiola e i mastini giustizialisti del Pd, malgrado la strenua difesa di B. & C. In realtà il 24 aprile 2010 Repubblica rivelò che la Procura di Perugia, indagando sulla Cricca della Protezione civile, si era imbattuta in 900 mila euro pagati da Anemone tramite Zampolini per pagare due terzi di casa Scajola”.

L’editoriale:

La segnalazione era partita da Bankitalia, insospettita dagli 80 assegni circolari da 12. 500 euro ciascuno astutamente usati per l’operazione. Scajola fece sapere che aveva pagato tutto lui, minacciò querele e precisò di non essere indagato. In effetti, né allora né mai i pm di Perugia lo iscrissero nel registro (era competente la Procura di Roma, che se la prese comoda e lo indagò solo il 29 agosto 2011). Eppure, dopo una settimana di afonia perché non sapeva che dire, Scajola si dimise il 4 maggio 2010.

Per motivi non giudiziari (inesistenti), ma di opportunità, che avevano indotto persino il Giornale a chiedergli di sloggiare con un editoriale di Vittorio Feltri (“Chiarisca o si dimetta”): “Se non ha niente da dire oltre a ciò che ha detto, le conviene rassegnarsi. Anzi, rassegnare le dimissioni… Qui c’è sotto qualcosa di poco chiaro, per essere gentili… È verosimile che lei non sapesse nulla degli assegni? Mica tanto. L’opinione pubblica è scossa… dalle testimonianze di Zampolini e delle sorelle Papa (le venditrici dell’immobile, ndr). Perché dovrebbero mentire?”. Lo capì financo Scajola, in una memorabile conferenza stampa senza domande: “Per esercitare la politica, che è un’arte nobile con la P maiuscola, bisogna avere le carte in regola e non avere sospetti”. Poi se ne uscì con la frase che inaugurò il filone satirico dell’insaputismo: “Mi dimetto perché non potrei, come ministro, abitare in una casa pagata in parte da altri senza saperne il motivo”.

Mentre i giornalisti presenti si sganasciavano e quelli della stampa estera pensavano a un errore di traduzione, il premier B. disse in Consiglio dei ministri che Scajola era “indifendibile” perché “quello delle case è un tema che colpisce molto la gente: se uno compra una casa che vale 1 milione e 800 mila euro e la paga 600 mila, c’è qualcosa che non va. E se non può spiegare agli italiani il perché, deve dimettersi”. Il Cainano avviò persino sue personali indagini, come narravano entusiasti i suoi house organ. “Adesso indaga Berlusconi”, titolava il Giornale: “Vuole individuare le mele marce. Sta studiando personalmente le carte dell’inchiesta sui grandi appalti: ‘ Chiederò spiegazioni a tutti. Nessuna indulgenza per chi ha sbagliato. L’arricchimento personale è inaccettabile’”. Libero lo descriveva “sfinito”, “chiuso in casa”, dove “riceve in pigiama”, “fa il pm e interroga i suoi: ‘ Ditemi la verità… C’è chi s’è arricchito alle mie spalle. Chi ha sbagliato pagherà’”. Belpietro plaudiva alla svolta giustizialista (tranquilli però, “non mi sono convertito al travaglismo”). Sallusti lo scavalcava in manettismo: “Il Presidente sa bene che gli elettori si infuriano di fronte ai privilegi che riguardano la vita privata, a partire dalla casa. Per questo ha usato parole molto dure, mai pronunciate prima: chi ha sbagliato deve pagare e lasciare incarichi e ministeri. Scajola insegna… Una convinzione che si è fatto dopo aver indagato a fondo ed esser giunto alla conclusione che è possibile che nel governo o nelle sue vicinanze ci possa essere qualche ladro di polli, che mette a rischio la credibilità politica di tutti. Meglio fare pulizia e pure in fretta”. Ora, dopo l’assoluzione in un processo che ha confermato tutti fatti già noti nel 2009, Libero titola un’intervista strappalacrime al perseguitato: “Io, dato in pasto al tribunale del popolo”. E il Giornale, profittando della smemoratezza generale: “Toghe intimidatorie”, “Scajola assolto: l’indagine gli costò il ministero”. E il Foglio: “Le nostre scuse a Scajola”. Ma andè a ciapa ’ i ratt.