Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Il giornale che siamo e che saremo”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 5 Febbraio 2015 - 08:31 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Il giornale che siamo e che saremo"

La prima pagina del Fatto Quotidiano del 5 febbraio

ROMA – “Il giornale che siamo e che saremo” è il titolo dell’articolo dedicato ai lettori a firma di Marco Travaglio, neo direttore del Fatto Quotidiano: “Fino all’altroieri, quando qualcuno mi chiamava “direttore”, mi voltavo all’indietro, pensando di avere alle mie spalle Antonio Padellaro. Da oggi continuerò a voltarmi all’indietro, sperando di avere alle mie spalle Antonio Padellaro. Direttori si nasce e lui, modestamente, lo nacque. Io no. Tutto pensavo e sognavo di fare nella vita, fuorché il direttore. A me piace scrivere, girare, incontrare i lettori e continuerò – nei limiti del possibile – a farlo. Ma, avendo fondato il Fatto con lui e con un pugno di amici e colleghi ormai quasi sei anni fa, pare che ora tocchi a me. Ci proverò con tutte le forze”.

Ho tentato di imbullonare Antonio sulla sua sedia, ma alla fine è riuscito a svitarsi. Il perché l’ha spiegato ieri, e lo ringrazio. Il suo comunque è tutto fuorché un commiato. Continuerà a scrivere come e più di prima, ora che le incombenze un po’ fantozziane di megadirettore le ha passate a me. E ci guiderà come presidente della nostra società editoriale, che ha tutte le intenzioni di espandersi ancora, con nuove firme e nuove offerte sotto l’impulso della nostra amministratrice Cinzia Monteverdi e del direttore del nostro sito Peter Gomez. Spero che questi quasi sei anni insieme mi abbiano trasmesso qualcosa del suo equilibrio, della sua capacità di “pensare il giornale”, di gestire la redazione e di sintonizzarsi con i lettori, ma soprattutto della sua abilità a rivoltare le notizie per vederle sempre nel verso più originale e autentico, dunque diverso da quello della vulgata del conformismo corrente. Prima di lui avevo imparato molto dal contatto diretto con altri direttori che hanno creduto in me: dal mio primo a Il Nostro Tempo di Torino, Domenico Agasso, al duo Indro Montanelli-Federico Orlando al Giornale e alla Voce, a Daniele Vimercati all’Indipendente e poi al Borghese, a Claudio Rinaldi, Daniela Hamaui e Bruno Manfellotto all’Espresso, a Claudio Sabelli Fioretti e ad Andrea Aloi a Cuore, a Furio Colombo, allo stesso Padellaro e poi a Concita De Gregorio all’Unità, a Enzo Biagi a Il Fatto (quello televisivo), naturalmente a Michele Santoro prima ad Annozero e poi a Servizio Pubblico (e non cito i direttori, fisicamente più distanti, delle testate con cui pure ho collaborato, altrimenti facciamo notte).

Della linea del Fatto non c’è da toccare una virgola: era e resta la Costituzione, che noi amiamo così com’è. Magari con qualche aggiornamento, ma senz’alcuno stravolgimento, specie da parte dei ceffi che da vent’anni ci tengono sopra le zampe. Dire “Costituzione”, in un giornale, si traduce nell’impegno a dare notizie vere e verificate, senza riguardi né sconti per nessuno. Anche e soprattutto quelle che gli altri non possono dare. E – ma sì, diciamolo – anche quelle che qualche lettore embedded non vuole sentirsi raccontare, per non dover mettere in discussione i propri pregiudizi. “Conoscere per deliberare”, diceva Luigi Einaudi. Conoscere spetta (anche) a noi. Deliberare, no. Rileggevo l’altro giorno, per trovare le parole, i primi editoriali di Indro Montanelli su La Voce, nata 21 anni fa da un’esperienza per molti versi simile a quella del Fatto (salvo che per un piccolo particolare: la presenza di Montanelli). “Noi – scriveva – saremo certamente all’opposizione. Un’opposizione netta, dura, sia che vinca l’uno sia che vinca l’altro. Il difficile sarà distinguerci dall’altra opposizione. Se vince questa destra noi certamente le faremo opposizione, cercando però di distinguerci da quella che faranno a sinistra. Se vince la sinistra noi faremo opposizione ugualmente ferma, cercando di distinguerci da quella che faranno gli uomini della cosiddetta destra” (…)