Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Il Carciofo Marino”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 28 Agosto 2015 - 08:04 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Il Carciofo Marino"

Ignazio Marino (LaPresse)

ROMA – “Il Carciofo Marino” è il titolo dell’editoriale a firma Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di venerdì 28 agosto.

Il sindaco di Roma Ignazio Marino esultante dopo il Consiglio dei ministri che gli leva quasi tutti i poteri e di fatto lo commissaria, con il decisivo argomento che“si è tolta dal tavolo l’ipotesi dello scioglimento del Campidoglio”,ricorda la scena del ragionier Ugo Fantozzi che, pestato a sangue da una gang di teppisti che gli smontano pure la Bianchina pezzo per pezzo, esala tra un ceffone e una testata:“Badi, signore, che se osa ancora alzare la voce con me…”;poi perde i sensi.Ma che cosa deve ancora accadere perché Marino, che comunque un mestiere ce l’ha e non campa di politica, ponga fine alla sua agonia politica e si dimetta da sindaco lasciando il suo nemico di sempre–cioè il suo partito–in brache di tela? Da quando ha avuto il torto di vincere le elezioni, il Pd gli ha fatto una guerra spietata che nemmeno a B.

Gli ha imposto assessori e collaboratori poi regolarmente finiti in galera o sotto inchiesta. Ha raccolto firme per le sue dimissioni. Non ha mosso un dito quando la destra di Alemanno chiedeva la sua testa perché parcheggiava la Panda in sosta vietata. Dopodiché si scoprì che il problema di Roma non era la Panda,ma la Banda:della Magliana, nel seguitissimo se-quel “Mafia Capitale”.   Lui ne uscì pulito proprio perché non aveva nulla a che fare con il suo partito“cattivo, pericoloso e dannoso” secondo la definizione dell’exministro Fabrizio Barca, infestato da “associazioni a delinquere” secondo l’attuale ministra Marianna Madia, diretto da gentaglia che falsificava le tessere e intrallazzava con Buzzi & Carminati. E chi tornò nel mirino di quel partito lì? Marino. Il premier Renzi, mai eletto da nessuno se non come sindaco di Firenze, iniziò a dettargli ultimatum, spalleggiato dalla solita Boschi. Il commissario Orfini, che frequenta il partito romano da quando aveva i calzoni corti e naturalmente non ha mai visto né sentito nulla,fece invece la parte del poliziotto buono, sostenendo il sindaco come la corda sorregge l’impiccato. Intanto gli mise accanto l’assessore turborenziano ai Trasporti Stefano Esposito che, essendo di Moncalieri (provincia di Torino), assicura la giusta competenza su Roma e parla già da sindaco. Anziché ribellarsi all’accerchiamento, Ignaro Marino continuò a fare il finto tonto (almeno speriamo che sia finto) e ad aggirarsi con le due dita alzate in segno di vittoria, anche quando gli arrestavano 44 persone tutto intorno. Poi batté un cinque alla Boschi alla festa dell’Unità.

E implorò Renzi “di giudicarmi dai risultati”, come se fosse stato Renzi a nominarlo sindaco di Roma, e non gli elettori a eleggerlo. Infine andò in scena il funeral party di Casamonica, che lo colse in vacanza all’estero.E riecco gli sciacalli e gli avvoltoi affondare i denti: non era certo il sindaco che doveva impedire quella sceneggiata, semmai le forze dell’ordine che fanno capo a questore, prefetto e ministro dell’Interno. Ma Alfano non si tocca, ammesso e non concesso che abbia una consistenza, sennò viene giù il governo,e chiederne la testa è inutile per mancanza della medesima. Neppure Gabrielli si tocca: altrimenti come si fa a promuoverlo capo della Polizia? Quindi la colpa è di Marino. La stampa e la satira di regime lo attaccano perfino perché è andato in ferie, come se fosse l’unico, come se fosse vietato, come se la sua presenza a Roma a ferragosto potesse cambiare qualcosa (…)