Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Il Faraone del Katonga”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Gennaio 2014 - 08:31 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Il Faraone del Katonka"

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Il Faraone del Katonka”

ROMA, 9 GEN – “Il Faraone del Katonka” scrive Marco Travaglio “Era da mezzo secolo, da quando Totò si travestì da ambasciatore del Katonga col lucido da scarpe in faccia, l’anello al naso e la feluca di ordinanza nel film Totòtruffa ‘ 62, che non si rideva tanto. Ai primi di quest’anno il Quirinale, non si sa nella persona di quale altissimo funzionario, ha protestato con l’ambasciata francese a Roma per una modesta critica mossagli sul suo blog dal corrispondente di Le Monde, Philippe Ridet. Dopo uno dei tanti moniti da Pizia di Delfi per una tregua nel presunto scontro fra politici e magistrati, Ridet aveva invitato Napolitano a uscire dall’ipocrisia e a chiamare i “politici” col loro nome: Berlusconi. Apriti cielo”.

L’editoriale di Marco Travaglio:

“Il Colle – racconta Philippe a Beatrice Borromeo – ha chiamato l’ambasciata francese per lamentarsi del mio articolo. Mi è venuto da sorridere, tanto né l’ambasciata né il mio giornale hanno fatto una piega, ovviamente”. In quel “sorridere” e in quell’ “ovviamente” c’è tutto l’abisso che separa il sultanato del Napolitanistan dal mondo libero. Immaginiamo la scena, e soprattutto la faccia dell’ambasciatore: “Pronto, è l’ambasciata di Francia? Signorina, è il Quirinale, mi passi l’ambasciatore. Pronto, signor ambasciatore, perdoni il disturbo, ma il fatto è davvero grave: un giornalista del vostro paese si è permesso di criticare Sua Altezza Reale. Non lo sapete che è severamente proibito?

Non avete ricevuto le ultime disposizioni dell’Ufficio Stampa e Propaganda? Egli è intoccabile, inascoltabile e ineffabile per diritto divino. Prendete buona nota e diramate a tutti i vostri corrispondenti. Per questa volta, passi. Ma la prossima scatta il foglio di via”. Per vent’anni molti si erano illusi che l’anomalia italiana riguardasse solo B. e i suoi cari, così allergici alle critiche della libera stampa (quella straniera) da molestare le diplomazie di mezzo mondo perché facessero ciò che lui faceva in Italia. Nel 2002 il governo B. ritirò la sua delegazione dal Salone del Libro di Parigi perché il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi era stato contestato da giovani italiani e francesi e snobbato dal ministro Catherine Tasca. E quando il canale tv franco-tedesco “Arte” trasmise un reportage su “L’irresistibile ascesa di S. Berlusconi”, il Caimano telefonò personalmente al premier Jean-Pierre Raffarin per protestare e chiedere di non replicarlo più. Raffarin rispose incredulo che in Francia il governo non fa i palinsesti televisivi, lì non si usa. Nel 2004 il documentario Citizen Berlusconi sui primi anni di regime berlusconiano fu selezionato all’European Documentary Festival di Oslo: B. ordinò all’ambasciatore italiano in Norvegia di intervenire per bloccarlo, e quello obbedì. Ma giornali e tv locali denunciarono la censura, il pubblico impose la proiezione in ben tre repliche, tanta era la folla interessata a vederlo.

Nel 2010 il ministro della Cultura Sandro Bondi disertò il Festival di Cannes perché osava ospitare Draquila, il docufilm di Sabina Guzzanti sugli scandali del dopo-terremoto in Abruzzo. Thierry Frémaux, il direttore del Festival, ironizzò sul ministro che “boicottando il festival ha fatto un buon lavoro” e deplorò l’ “inconcepibile atteggiamento contro la libertà di espressione”. Ecco, qualcuno pensava che – archiviato B. – si potesse serenamente chiudere la parentesi dopo vent’anni e ricominciare. Non era, non è così. L’epatite “B.” ha contagiato tutta la politica e oggi chiunque eserciti una fetta di potere, dal Colle in giù, pretende l’adorazione dei sudditi e scambia ogni critica per lesa maestà. Napolitano – osserva Ridet – “fa politica attivamente, senza sosta” ed “è normale criticarlo sul piano politico”. Invece “ha sempre più l’aura del Re”, anzi del “Faraone” e “sembra che non si possa più giudicarlo, che vada lodato dalla mattina alla sera”. Manco fosse “la regina d’Inghilterra”. La quale peraltro non si sognerebbe mai di chiamare un’ambasciata straniera per protestare contro le critiche della stampa estera al suo ultimo cappellino. Queste sono cose che capitano solo nel Katonga, senza offesa per il Katonga.