Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Lacrime napulitane”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 15 Gennaio 2015 - 08:37 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Lacrime napulitane"

Giorgio Napolitano (LaPresse)

ROMA – “Lacrime napulitane” è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di giovedì 15 dicembre.

Da una lacrima sul viso, uno capisce molte cose. Ma qui si esagera: è un’alluvione, un’inondazione, una cascata, un diluvio. Peggio dei funerali di Stalin, di Mao, di Kim il-Sung, peggio dell’attentato a Togliatti. Facce da Urlo di Munch assistono attonite e sconvolte all’imprevedibile dipartita, fingendo di averla scoperta ieri mattina: l’abdicazione di Re Giorgio I e II di Borbone. Che per fortuna è vivo e vegeto. E mica trasvola a Cascais: trasloca di 360 metri, dal Quirinale in via dei Serpenti nel rione Monti (potenza della toponomastica). Abbiamo sempre detto che il momento migliore della sua presidenza sarebbe stato quello delle dimissioni, e così è stato: Napolitano ci ha lasciati senza fanfare, trombette e rulli di tamburi, con una cerimonia sobria e a ciglio asciutto. Ma s’è scordato, durante gli onori militari, di dare il “riposo” alle lingue felpate dei suoi corazzieri, turiferari e laudatori, e alle loro ghiandole lacrimali e salivari. Che, in mancanza di contrordini, hanno continuato a secernere freneticamente. Resta con noi, non ci lasciar. Salve Re Giorgio, a Te sospiriamo, gementi e piangenti, in questa valle di lacrime. Matteo Renzi si scioglie come il sangue di San Gennaro: “#GraziePresidente. In questo momento la figura di Giorgio Napolitano deve richiedere gratitudine, emozione e commozione per il lavoro svolto”.

Piange a dirotto Laura Boldrini, novella Madonna di Civitavecchia, dinanzi al venir meno del “Fondamentale Riferimento”. Sgocciola come vite tagliata Piero Grasso, che rischia di inciampare nelle sue proprie lacrime nel tragitto da Palazzo Madama a Palazzo Giustiniani, dove sarà per ben due settimane il Reggente, anzi l’Autoreggente. Poi, dalle agenzie ai social network, è un’incontenibile tracimazione di liquidi, che rende impossibile la raccolta differenziata con la separazione dell’umido dal secco, delle lacrime dalle bave e dalle salive. Allusiva Anna Paola Concia: “#GraziePresidente#Napolitano per tutto, anche per quel 17 maggio 2010 che organizzammo insieme e non dimenticherò”. Bersani è fedele al suo alter ego crozziano: “#GraziePresidente. Come si dice dalle mie parti: ci hai tenuti all’onor del mondo!”. Nunzia De Girolamo invoca una “figura autorevole che rappresenti tutti”, e lei di autorevolezza se ne intende, infatti stava con B. e ora sta con Alfano. Andrea Sarubbi elogia in Lui “il busto ortopedico” di un “Parlamento tutto fratturato”. Roberto Speranza, con un pensiero al proprio cervello, avverte una #percezionedivuoto” e c’è da capirlo. Corrado Passera, già ministro di nessuno, esalta il “Presidente di tutti”. Anzi, più che un Presidente, “una roccia in questi anni di bufere”, rincara Franceschini. Tal Francesco Nicodemo prende a prestito tal Baruch Spinoza (“Lo sforzo di fare bene a chi ci ama e si sforza di farci bene, si chiama riconoscenza o gratitudine”), una volta sinceratosi che sia morto e non possa dirgliene quattro. Il bosco dei salici piangenti è fitto e irrorato, ma non c’è niente da fare: quando gli scappa, gli scappa.

La Minzion d’Onore spetta di diritto a Eugenio Scalfari. Il quale, vedovo inconsolabile, riscrive in due pagine di Repubblica la storia della Repubblica e dell’Europa intera per consegnare alla Storia il santino di San Giorgio vergine e martire. Previo riferimento obbligatorio a papa Francesco, rivela che il giovine Napolitano, nel 1944 a Napoli, era iscritto ai Guf (i Gruppi universitari fascisti), ma non perché fosse fascista: anzi, era un “antifascista senza partito di riferimento”. Poi, quando fu proprio sicuro che il fascismo aveva perso, sei mesi dopo la Liberazione, “aderì al Pci”, ma non perché fosse comunista: anzi, il suo era un misto di “marxismo, rivoluzione liberal-gobettiana e liberalsocialismo dei fratelli Rosselli e di Giustizia e Libertà”. Resta da capire perché non entrò nel Partito d’Azione o nel Psi o nel Pli, che a quelle culture si ispiravano. E la rivolta d’Ungheria schiacciata nel sangue dall’Armata Rossa nel 1956?