Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Tengo ministra”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 6 Novembre 2013 - 08:19 OLTRE 6 MESI FA
La prima pagina del Fatto Quotidiano

La prima pagina del Fatto Quotidiano

ROMA – Marco Travaglio, dalle pagina del Fatto Quotidiano, risponde all’articolo di ieri (5 novembre) di Massimo Fini in difesa della Cancellieri. “Tengo ministra” è il titolo dell’editoriale di Travaglio che spiega invece i motivi del dissenso:

Temo che, anche per la signora ministra, i sentimenti c’entrino poco. Basta inquadrare le sue telefonate intercettate (e anche quelle purtroppo non intercettate con Antonino Ligresti, fratello di Salvatore) nel contesto della sua trentennale amicizia con una delle famiglie più malfamate del capitalismo italiano. I fratelli Salvatore e Antonino Ligresti sono due pregiudicati per corruzione. Antonino, proprietario di cliniche private, è amico del marito farmacista della ministra, a sua volta arrestato nel 1981 per uno scandalo di fustelle false. Salvatore, costruttore e assicuratore, è anche lui amico della Cancellieri (come pure la sua compagna Gabriella Fragni), nonché proprietario della casa dove vive il figlio della ministra, Piergiorgio Peluso, che è stato per un anno direttore finanziario della Fonsai uscendone con una generosa liquidazione di 3, 6 milioni. Don Salvatore dichiara ai magistrati di aver favorito, con un intervento presso l’amico B., la carriera prefettizia della Cancellieri (lei smentisce). Giulia Ligresti dice in una telefonata intercettata che la buonuscita di Piergiorgio a dispetto dello scarso rendimento in azienda si deve al suo cognome (lei rismentisce). È questo il contesto che spiega perché la ministra della Giustizia, appena vengono arrestati Ligresti e le due figlie (mentre il terzo figlio latita in Svizzera), sente l’impellente bisogno di chiamare la Fragni per solidarizzare con gli arrestati contro i magistrati (“non è giusto”, “c’è modo e modo”), scusarsi di non aver chiamato prima (quando la Dinasty siculo-milanese era già indagata per gravi reati finanziari) e mettersi a disposizione (“Qualsiasi cosa io possa fare, conta su di me”). Nessun accenno alle condizioni di salute di Giulia, che entreranno in scena solo un mese dopo con le telefonate ai vicecapi del Dap.

Telefonate che, a questo punto, sono forse l’aspetto meno grave di una vicenda che vede un ministro (non della Marina mercantile, ma della Giustizia!) soggiogato dal rapporto preferenziale con due noti pregiudicati che da almeno vent’anni entrano ed escono dalle patrie galere. Un ministro la cui condotta autorizza addirittura a ipotizzare che sia ricattabile, almeno nella mente turbata e nelle parole malate dei Ligresti sui presunti doveri di riconoscenza che la Cancellieri e la sua famiglia dovrebbero avere nei loro confronti. Altrimenti non si spiega perché, prima da prefetto della Repubblica, poi da ministro dell’Interno e infine da Guardasigilli, la Cancellieri non abbia interrotto i rapporti con due condannati definitivi e, anzi, li abbia riagganciati dopo la nuova retata. Giustizia, nella Costituzione e nei dizionari, è sinonimo di imparzialità, eguaglianza, pari opportunità. C’è bisogno d’altro per affermare che questa signora può fare tutto fuorché il ministro della Giustizia?