Marò: l’ultimo atto di 152 anni di figuracce italiane

di Redazione Blitz
Pubblicato il 25 Marzo 2013 - 17:08| Aggiornato il 9 Novembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La figuraccia internazionale rimediata nella vicenda dei due Marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre è l’ultimo atto di una lunga tradizione di irrilevanza e di inaffidabilità dell’Italia. La ricorda Marco Bertoncini su Italia Oggi:

“A ripercorrere i 152 anni dell’Italia unita, i periodi in cui il nostro Paese in politica estera ha contato parecchio sono stati brevi. Senz’altro contammo dopo lo scoppio della Grande Guerra, quando le due coalizioni contrapposte ci volevano ciascuna alleata, o almeno neutrale. E poi nei mesi fra lo scoppio della seconda guerra mondiale e la nostra entrata nel conflitto, per l’identica ricerca della nostra neutralità da parte degli anglofrancesi. Quando ci andava benissimo, eravamo la minore delle grandi potenze; altrimenti, passavamo per la maggiore fra le minori; ma sovente non assurgevamo nemmeno a quel livello.

Il nostro peso politico internazionale, dopo il ’45, è sempre stato determinato dalla collocazione geografica, utile al blocco occidentale. Non si è mai capito bene quali meccanismi ci abbiano portati nel G7, dopo che eravamo rimasti esclusi dal G5. Gli americani ci hanno sempre considerato inaffidabili, ma hanno tenuto ad averci accanto, anche per le spedizioni internazionali.

Questo prologo serve solo a motivare il fatto che l’India, nella dolorosa vicenda dei nostri due marinai, non ci abbia mai considerati, fin dal primo giorno. Il nostro rilievo internazionale è così limitato che quello Stato ha potuto agire, verso i nostri connazionali, come se avesse avuto di fronte due militari di un’isola caribica.

Se queste sono le premesse, la gestione del caso Marò è stata tale da peggiorare la nostra già pessima immagine agli occhi del mondo:

Tuttavia è difficile riuscire a mettere uno in fila all’altro tanti errori quanti ne hanno commessi i nostri responsabili. Dal consenso ad attraccare la nave, ai silenzi della diplomazia europea; dalle umiliazioni subite dal ministro degli Esteri e dal suo sottosegretario, alle incertezze in tema di giurisdizione da invocare; dalla mancata partecipazione della Nato, alla firma di garanzia apposta dal nostro ambasciatore: una caterva di sbagli. Ai quali bisognerà aggiungere la figuraccia (planetaria in senso proprio e non figurato) compiuta con il rifiuto di restituire i due marinai, per poi smentirsi e rimandarli in India.

Ovviamente, tutti ritengono che tanto gli affari della Finmeccanica, quanto in generale le nostre relazioni economiche con l’India, abbiano giocato un ruolo decisivo; ma non è mai stato spiegato. In queste condizioni di dissoluzione della nostra immagine internazionale (mai si era vista una faccia feroce esibita col rifiuto di rendere i due militari, cui in breve ha fatto seguito un belato d’agnello di fronte alle condizioni di quasi arresto di un diplomatico, evento che si fatica a rintracciare nella normale storia delle relazioni internazionali) i mezzi di comunicazione hanno registrato pimpanti dichiarazioni di vittoria di ministro e sottosegretario perché i due marinai, se condannati, potranno al più patire l’ergastolo e non la pena capitale.

I contrasti emersi fra i ministri sono stati, dal titolare degli Esteri, derubricati a «sensibilità diverse». Giulio Terzi non ha trovato una sola volta un solo appoggio su un solo organo di stampa. Addirittura lo stupore per l’avanti-e-indietro è stato così generale da lasciare esterrefatti e basiti un po’ tutti i commentatori.

La giustificazione del responsabile della Farnesina per il rifiuto di presentare le proprie dimissioni è stato fondato su due ragioni: le dimissioni sono state già chieste dal momento dell’attracco della nave Lexie (il che indica come, fin dall’inizio della vicenda, il giudizio diffuso fosse negativo nei suoi confronti); l’intero governo è già dimissionario.

Di fronte a simili pretesti, non resta che prendere atto, allibiti, di come il numero uno della nostra politica estera non abbia alcuna contezza del volto miserevole oggi esibito dall’Italia in sede internazionale. Stiamo valutati peggio, molto peggio, di quel poco assegnatoci in tema di credibilità mondiale prima di quell’infausto attracco navale.