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Massimo Giuseppe Bossetti, il dna e quell’errore

di FIlippo Limoncelli |4 Ottobre 2015 9:54

Massimo Giuseppe Bossetti

ROMA – La polizia era già arrivata alla madre di Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello (Bergamo) accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio, ben due anni prima dell’arresto. Aveva inserito Ester Arzuffi, la madre di Bossetti, in un gruppo di trentatré persone individuate sottoposte all’esame del Dna, con intuizioni investigative degne di un romanzo poliziesco.

Ma poi in laboratorio, erano arrivati i campioni sbagliati, e la donna non era stata individuata. Infatti il Dna di Ester Arzuffi non era stato confrontato con quello del sospettato “Ignoto numero uno”, ma con quello della madre di Yara Gambirasio.

A raccontare del colpo di scena è Luca Telese su Libero Quotidiano.

Tra cronisti e giornalisti era già noto, certo: ma sentirlo ripetere nel processo, in questo modo diagonale, fa impressione, soprattutto al termine di un interrogatorio avvincente, che a tratti sembra una lezione di criminologia del terzo millennio. Guardo per un attimo l’ ex capo della Squadra mobile di Bergamo, ora a Venezia, seduto davanti alla Corte. Bonafini ha un bel viso regolare, dimostra meno di quarant’ anni, ha un filo di barba perfettamente curata, veste di grigio, ha una cravatta blu con pallini bianchi, mani veloci, all’ occorrenza le lascia pescare tra i faldoni che squaderna davanti a se, come un pianista che le fa correre sulla tastiera. Come un concertista esperto che non ha bisogno di controllare lo spartito, Bonafini non guarda mai in basso. Si sta parlando di un fascicolo, per esempio, e la presidente lo sventola: «Le serve la sigla?». E lui, senza abbassare lo sguardo alza la mano stringendolo tra le dita: «Grazie ma l’ ho già trovato».

In una giornata in cui non ci sono apparenti colpi di scena, dentro le architetture squadrate di acciaio e vetro del nuovo tribunale, si può restare per un attimo incantati di fronte a questo paradosso. Individuare il filo tenace e certosino di una indagine che a tratti assomiglia ad un censimento sociologico, intravedere il disegno imponente e ambizioso degli investigatori, capire la cura attenta e maniacale dei dettagli. Ma poi rimanere di stucco di fronte a questa constatazione: avevano in mano Ester Arzuffi due anni prima dell’ arresto di Bossetti, ma non si erano accorti che era proprio lei la donna che stavano cercando ovunque.

Questa prima ricerca ieri, nel racconto di Bonafini, ha anche trovato una data esatta: «Seguendo il filo logico della nostra inchiesta eravamo arrivati ad isolare un gruppo di trentatré soggetti emigrati negli anni dalla zona della Val Seriana a quella dell’ Isola di Bergamo. Ester Arfuffi aveva preso residenza nel 1966 a Parre, e nel 1969 a Brembate, e quindi rientrava pienamente in questi criteri. Abbiamo prelevato il suo campione il 27 luglio del 2012». Ma come si era arrivati a quel gruppo? Anche quello che pensavamo di sapere già, difronte al racconto dell’ ex capo delle indagini di Polizia quasi impallidisce.

Bonafini ripercorre l’ incredibile mole di ipotesi e di tentativi, i numeri davvero impressionanti di questo censimento poliziesco. Ad esempio: «Uno dei primi numeri con cui ci siamo confrontati è quello degli iscritti alla discoteca Sabbie Mobili». È il primo bandolo dell’ indagine, il locale che sta di fronte al campo dove è stato trovato il cadavere: «Si trattava di31.926 nominativi, una cifra da capogiro, per provare a controllarli tutti. Dovevamo restringere il campo». Come? «Abbiamo isolato i campi di indagine. Ad esempio prendendo tutti quelli che avevano i telefonini accesi tra le 17.30 e le 18.55,nelle celle telefoniche della zona dove è scomparsa Yara». Quanti? «120mila». E poi? «Tutti quelli che erano nelle liste dei telefoni captati dalle celle e che avevano anche la tessera delle Sabbie Mobili». In questo modo quanti se ne selezionano? «Altri 6mila soggetti». E poi quelli con precedenti penali per reati sessuali (provate a indovinare? Ben 47!). «Oppure – continua Bonafini – cercando, con l’ incrocio dei database, tutti quelli che abitavano a Brembate di sopra». E così «si arriva ad altri 476 nomi». Intuizione giusta, perché fra questi nomi c’ è quello di Damiano Guerinoni, il ragazzo che è nipote del padre naturale di Bossetti, l’ autista Damiano Guerinoni. Ma per poter risalire, da lui fino a quello zio, si deve imbastire una indagine nell’ indagine, quasi una ricerca genealogica.

Spiega ancora Bonafini: «Siamo partiti da lontano….». Dice il poliziotto. «E cioè?», chiede la presidente. Risposta: «Da Batta, cioè Battista Guerinoni, il capostipite della famiglia, nato nel 1719». Per quanto possa sembrare strano, per la seconda volta, in questo incredibile processo, in aula si ride. Ma Bonafini sembra uno specialista in Araldica e snocciola nomi e date: «Siamo scesi dritti lungo l’ albero genealogico a Fantino Guerinoni nato nel 1751. Poi a Girolamo nato nel 1788… Poi a Gioangelo nato nel 1905 e Giogaetano nato nel 1912 …». Guardo per un attimo il viso allibito di Bossetti: sta scoprendo per la prima volta l’ elenco dei suoi trisavoli. Giuseppe Guerinoni autista è del 1935. Ha lo stesso aplotipo Y del ragazzo Damiano, ma nessuno – all’ epoca – ha il suo Dna completo.

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