Ti pare possibile che di un’Italia senza gladiatori, pizzaioli, pittori, mandolinisti, tenori, sarti, ruffiani, avvelenatori rinascimentali e playboy della mutua non interessi niente a nessuno? Ti rassicura questo rinchiuderci in un eterno cliché per compiacere i pregiudizi degli altri nei nostri confronti?
A tutte e tre le domande di quell’italiano riluttante ho risposto con un semplice monosillabo. Sì. L’autorevolezza in certi ruoli non si improvvisa. Noi per gli altri siamo ciò che venticinque secoli di storia hanno stabilito che fossimo: depositari distratti della grande bellezza e custodi approssimativi della memoria universale. Quando ci riusciamo, anche costruttori di benessere. Anni fa, alla delegazione tricolore che durante la visita a un importante organismo internazionale si lamentava perché nella struttura lavoravano dirigenti di ogni nazionalità tranne che della nostra, il direttore generale replicò sorpreso: «Vi sbagliate. Agli italiani abbiamo affidato un settore assolutamente cruciale: il catering».