“Matteo Renzi e l’occasione per prendere la Capitale”, Maria Teresa Meli

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Dicembre 2014 - 12:15 OLTRE 6 MESI FA
Matteo Renzi e l’occasione per prendere la Capitale, roccaforte ancora ostile

Matteo Renzi (LaPresse)

ROMA – “Matteo Renzi e l’occasione per prendere la Capitale, roccaforte ancora ostile” scrive Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera.

Renzi sta cercando di risolvere anche questa brutta storia a modo suo. Ossia, cercando di trarre del «buono» dal «cattivo» che è toccato in sorte. L’uomo è pragmatico. E non ha mai fatto mistero di «non essere quel politico improvvisato che qualcuno si immagina», ma «uno che legge i dossier, si prepara e poi, dopo aver studiato bene la situazione, decide». Per questa ragione, prima di trovare la soluzione per la questione romana, ha impiegato qualche ora di tempo. Quel tanto che gli serviva per capire che c’era del «marcio», che Marino andava «salvaguardato», e che il Partito democratico capitolino doveva essere decapitato. L’ultima tappa, in fondo, non gli è dispiaciuta poi troppo, perché il pd romano era una delle sacche più forti di resistenza al renzismo, anche se formalmente tutti o quasi, si erano convertiti al nuovo corso. La Capitale, come altre città italiane, del resto, era uno degli avamposti della vecchia «ditta» (intendendo per tale, in questo caso, non solo quella costituita dai ds ma anche quella proveniente dalla fu Dc) che cercava di «cambiare verso» a modo suo.

Perciò la prima mossa è stata quella di chiedere a Lionello Cosentino di farsi da parte. Si è detto e raccontato che è stato lo stesso segretario della federazione romana a decidere di fare un passo indietro. In realtà le cose sono andate diversamente. Cosentino, che alle primarie non si era schierato con Renzi, sperava di assumere lui il ruolo di commissario. E invece gli è stato spiegato che doveva andare via. Lui ha fatto resistenza. Al Nazareno sono volate parole grosse e per i corridoi della sede del Pd si sono sentite voci alterate. Ma alla fine, la linea Renzi è uscita vincente. A quel punto il premier si è trovato di fronte a due scelte: affidare il commissariamento al vicesegretario Lorenzo Guerini o al presidente Matteo Orfini.

Non volendo scontentare più di tanto la minoranza, che non vuole umiliare, perché gli serve nel grande risiko del Quirinale, il segretario ha proceduto a una consultazione lampo, sentendo le diverse anime del partito. Ha chiesto a chi conta nella Capitale quale fosse il nome preferito. «L’unico che non ha consultato è stato Nicola Zingaretti» si lamentano però gli uomini del presidente della regione Lazio, i quali temono che in questa partita una delle vittime sarà il loro leader. Che rappresenta una delle sacche di resistenza del Pd al renzismo imperante. Non a caso, ogni tanto si parla di lui, come del possibile competitor di area ds all’ex sindaco di Firenze.

Alla fine la scelta è caduta su Orfini. Uno che prende molto sul serio il suo lavoro, che conosce Roma, e che non è tipo da fare passi indietro, tant’è vero che ha già annunciato ai segretari dei circoli: «Sono pronto a chiamare uno a uno tutti gli ottomila iscritti al partito, voglio sapere chi sono, perché hanno aderito, da dove vengono…». In parole povere, anche nella Capitale, che con la consueta pratica della resistenza passiva era riuscita a tenere a bada il renzismo, si sta facendo strada il nuovo corso (…)