Meteorologi tutti in pensione. Gabrielli lancia allarme: “Servono nuovi esperti”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 2 Aprile 2015 - 11:20 OLTRE 6 MESI FA
Meteorologi tutti in pensione. Gabrielli lancia allarme: "Servono nuovi esperti"

Meteorologi tutti in pensione. Gabrielli lancia allarme: “Servono nuovi esperti”

ROMA – Anche l’ultimo meteorologo italiano è andato in pensione, ma mancano i nuovi esperti. Il motivo? Mancano corsi di laurea triennali o magistrali in Meteorologia o Fisica dell’Atmosfera che possano dar vita alle nuove figure professionali di cui si ha bisogno. Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile, ha rilanciato al ministro dell’università Stefania Giannini l’allarme sollevato dagli esperti della Commissione Grandi Rischi.

Giuseppe Salvaggiulo su La Stampa scrive:

“Gli scienziati ricordano che recentemente hanno cessato di lavorare i tre professori universitari rimasti a occuparsi specificamente di meteorologia (su 250 del raggruppamento Fisica). Ora non ci sono più docenti ordinari, né ce ne saranno in futuro perché in Italia solo i professori ordinari di una materia possono crearne altri. Il circuito è chiuso, a meno di un deciso cambio di rotta politico, che Gabrielli invoca con gli scienziati.

Nel Paese in cui il meteo è diventato argomento di conversazione di massa e proliferano siti internet, app e programmi televisivi tematici, la meteorologia nelle università sta scomparendo. Non è solo una questione da senati accademici. Una moderna gestione del rischio idrogeologico, che serve a ridurre perdite umane e danni da frane e alluvioni, si fonda su una catena con tre anelli: meteorologia (previsioni atmosferiche); idrologia (previsioni degli effetti al suolo) e protezione civile (piani operativi sulla base delle prime due informazioni)”.

Insomma i docenti vanno in pensione ma non sfornano allievi che possano sostituirli:

“Dopo Guido Visconti a L’Aquila e Antonio Speranza a Camerino, anche Stefano Tibaldi, l’ultimo meteorologo italiano di fama internazionale, è andato in pensione ieri. Ha lavorato al Centro europeo di ricerca meteo, ha insegnato all’università di Bologna, ha diretto l’Agenzia regionale emiliana, tra le più avanzate con quelle piemontese e veneta. «In Italia – racconta – la meteorologia è sempre stata cenerentola, ospite della fisica o della geofisica. Il motivo è semplice: sono gli utenti qualificati a chiedere all’università meteorologi qualificati, e qui l’utenza è di bassa qualità».

Anche lo Stato ha contribuito a «deprimere la meteorologia italiana». Negli altri Paesi europei, anche più piccoli, esiste un Servizio meteo nazionale. È un’istituzione che raccoglie, organizza e diffonde le informazioni, anche alle organizzazioni internazionali. Sono i dati di base su cui a diversi livelli di professionalità tutti – agenzie pubbliche, siti web, televisioni – costruiscono le previsioni”.

Al momento poi in Italia non esiste un Servizio Nazionale:

“Previsto finalmente dal decreto Bassanini nel 1998, l’anno della tragedia di Sarno, a 17 anni di distanza non è ancora operativo. Ci si arrangia con l’Aeronautica militare, che fa del suo meglio ma è nata per l’assistenza al volo e ha risorse scarse.

L’approssimazione pubblica ha abituato male il mercato. Poi è arrivata la rivoluzione del web. I siti privati hanno stimolato il sistema. «Ma questa scossa non si è trasmessa all’università, che non ha speranza – sospira Tibaldi -. Se c’è spazio per una disciplina, in altri paesi il sistema accademico investe autonomamente prima di essere costretto a farlo; qui è governato dai professori in modo autoreferenziale, ogni disciplina bada a sé. L’accademia è sorda, cieca e muta».

Dunque per la meteorologia non c’è posto. «Le decisioni le prende il ministero, totalmente dominato dall’accademia attuale che pensa a sé. Ci pensi: i professori di fisica allo stato solido dovrebbero farsi carico di rinunciare a una parte delle proprie risorse per creare una cattedra di meteorologia. Improbabile, no?». L’utenza di bassa qualità dilaga, quella qualificata (grandi aziende agricole, industrie, piattaforme petrolifere, trasporti marittimi), si rivolge alle società di consulenza internazionali.

Tibaldi lascia con amarezza. «Dopo tredici anni in Inghilterra, ero tornato nel 1987 per fare qualcosa per la meteorologia italiana. A malapena sono riuscito a fare qualcosa per me stesso. Un fallimento totale»”.