Metro C Roma, Il Fatto: “Favori ai costruttori Cantone e i pm indagano”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 22 Dicembre 2014 - 12:32 OLTRE 6 MESI FA
Metro C Roma, Il Fatto: "Favori ai costruttori Cantone e i pm indagano"

Metro C Roma

ROMA – Il fascicolo penale, aperto dal procuratore Giuseppe Pignatone sulla linea C della metropolitana di Roma ipotizzando il reato di abuso d’ufficio, è destinato a finire nel nulla. Come racconta Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano,

le stranezze sono state fatte tra il 2005 e il 2006, quando sindaco era Walter Veltroni, e la strada della prescrizione sembra segnata. Ma i fatti incredibili segnalati dall’Autorità Nazionale Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone meritano comunque un approfondimento, se non altro per capire una cosa. Lo scempio di denaro pubblico attribuito alla presunta organizzazione mafiosa di Massimo Carminati, detto “er cecato”, è ben poca cosa rispetto a quello realizzato con le cosiddette grandi opere. Se Mafia Capitale colpisce nell’ordine delle decine di milioni, Cemento Capitale fa sparire i milioni a centinaia, grazie a un sistema oliatissimo dove di “cecati” non ce ne sono. Ci vedono tutti benissimo.

La prova è che la storia della Metro C raccontata dagli uomini di Cantone è contemporanea e perfettamente corrispondente a quella del ponte sullo Stretto di Messina.

Nel primo caso la Corte dei Conti ritiene che il tratto Pantano-Centocelle , recentemente inaugurato, appaltato per meno di 600 milioni, è costato finora 363 milioni (il 60 per cento) più del previsto. Nel caso del ponte sullo Stretto il contribuente sta ancora aspettando di sapere che le penali da pagare ai costruttori per la mancata realizzazione dell’opera siano attorno ai 500 milioni di euro o più vicini al miliardo.

I due appalti nascono nel 2005 e si assomigliano come gemelli monovulari. Il 12 ottobre 2005 la cordata formata da Impregilo, Condotte e la coop rossa Cmc si aggiudica la costruzione del ponte offrendo un ribasso del 12 per cento sulla base d’asta di 4,4 miliardi di euro. La cordata sconfitta (Astaldi, Vianini di Franco Caltagirone e cooperativa rossa Ccc) fa ricorso per “ribasso anomalo”. Il 14 febbraio 2006 Astaldi, Vianini e Ccc si aggiudicano l’appalto per la Metro C offrendo alla stazione appaltante Roma Metropolitane (braccio operativo del Campidoglio, presidente il manager ex ambientalista poi riformista Chicco Testa) un ribasso del 13 per cento sulla base d’asta di 2,5 miliardi.

Il 27 marzo 2006, due settimane prima che vinca le elezioni l’Unione di Romano Prodi che ha in programma lo stop al ponte, la società Stretto di Messina firma il contratto di affidamento dei lavori alla cordata Impregilo-Condotte-Cmc, che nella gara per metro C è arrivata seconda. Così viene innescata la bomba a orologeria delle penali, che nove anni dopo sta per esplodere sotto la sedia del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.

Il ponte sullo Stretto viene gestito dal governo Berlusconi, con Pietro Lunardi ministro delle Infrastrutture e l’immancabile braccio destro Ercole Incalza come ministro-ombra. La metro C di Roma è gestita dal sindaco Veltroni e dai suoi uomini. Ma la filosofia è la stessa, identico lo stile operativo, analoga l’acquiescenza alle pretese dei costruttori, che vincono le gare un po’ per uno ma riescono ad armonizzare il trattamento per tutti, quale che sia la parte politica di riferimento.

E infatti mentre Impregilo e soci si accomodano ad attendere che maturino le penali, la cordata rivale si apparecchia un piatto altrettanto succulento. Ci racconta che il 12 ottobre 2006 Roma Metropolitane firma con Astaldi, Caltagirone e coop rossa al seguito un contratto difforme dal capitolato di gara. In cambio della promessa di finire la tratta Pantano-San Giovanni in quattro anni anziché sei (…) i costruttori ottengono di ridurre dal 20 per cento al 2 per cento l’onere di prefinanziamento dell’opera: anziché mettere fuori 436 milioni devono anticiparne solo 44. E chi ha prefinanziato? Pantalone, naturalmente (…)