Olivetti, amianto. Libero: documenti d’accusa contro De Benedetti, Colaninno & C

Olivetti, amianto. Libero: documenti d'accusa contro De Benedetti, Colaninno & C
Olivetti, amianto. Libero: documenti d’accusa contro De Benedetti, Colaninno & C

ROMA – Tra le 20 mila pagine dell’inchiesta Olivetti, scrive Giacomo Amadori su Libero, 

c’è un prospetto che inchioda la vecchia dirigenza dell’azienda piemontese alle proprie responsabilità. Si intitola «tabella sulla conoscenza e periodo d’uso dei materiali con amianto nelle lavorazioni» ed è inserita nella consulenza tecnica che il dottor Stefano Silvestri, igienista del lavoro, ha consegnato ai pm di Ivrea nel settembre 2013.
Silvestri, fiorentino, ideatore della mostra itinerante «Bastamianto», è un grande esperto in materia ed è già stato consulente della procura di Torino nel processo Eternit.

Lo specchietto evidenzia i ritardi con cui l’azienda è intervenuta per mettere in sicurezza i lavoratori dal rischio amianto. Apprendiamo per esempio che la bonifica dei due piani della mensa Olivetti è stata effettuata in fasi diverse: nel 2001 e nel 2005.
Eppure già «in una nota interna del 9 marzo 1992, viene riscontrato un valore elevato di fibre nell’ambiente a seguito di analisi di campioni effettuati dal Politecnico di Torino». Un lavoro dilazionato probabilmente per questioni di costi.
Ma sono molte altre le strutture in cui la Olivetti è intervenuta con deplorevole pigrizia.
Eclatante è il caso del capannone Sud di San Bernardo di Ivrea che l’azienda non bonificherà mai e che venderà a un imprenditore sull’orlo della bancarotta. Il risultato? Quel rudere è attualmente una bomba ecologica a cielo aperto, come evidenzia Silvestri:

«È ancora coibentato e versa in uno stato di degrado tale da porlo ai primi posti dei siti inquinanti da bonificare con urgenza in tutta Italia».
È questo uno dei regali che i vertici di Olivetti hanno fatto al Paese, oltre che condannare decine di lavoratori a malattie mortali come il mesotelioma pleurico.
Sotto inchiesta a Ivrea per omicidio e lesioni colposi, plurimi e aggravati, sono 39 persone e per almeno trenta di queste la procura di Ivrea chiederà entro fine ottobre il rinvio a giudizio.
Tra loro ci sono l’ex presidente Carlo De Benedetti, suo fratello Franco, i figli Rodolfo e Marco e altri tre ex amministratori delegati come Corrado Passera, Paolo Baratta e Roberto Colaninno.
Tra i capi d’accusa l’aver lasciato utilizzare un prodotto killer agli operai, dopo averne appresa la nocività.

Scrive Silvestri: «Una particolarità che è stata evidenziata dalle indagini sulle condizioni ambientali nella ditta Olivetti è rappresentata dall’uso di grandi quantità di talco industriale. Questo talco proveniente anche dalla miniera Brunetta della Val di Lanzo è risultato altamente contaminato con fibre di amianto della varietà tremolite. La determinazione analitica è stata fatta nel 1981, ma nonostante ciò, inspiegabilmente la sua sostituzione con talco più puro è avvenuta soltanto nel 1986, prolungando l’esposizione ad amianto di coloro che lo utilizzavano di altri 5 anni. Le polveri di talco non sono state aspirate con idonee bocchette localizzate, né gli addetti sono stati dotati di idonee protezioni respiratorie».

Sul punto la procura ha ascoltato anche un testimone chiave, Paolo Silvio Fornero, 72 anni, ex coordinatore del settore Ecologia del Servizio organizzazione sicurezza sul lavoro (Sosl, poi Sesl) dell’Olivetti.
In un appunto del 30 aprile 1986 il funzionario annota: «La giacenza attuale viene smaltita come rifiuto».
Fornero ai magistrati giustifica così quella soluzione tardiva: «Noi del Servizio ecologia avevamo rilevato la presenza dell’amianto (nel 1981 ndr). Ci hanno messo cinque anni a decidere».
Il pm Lorenzo Boscagli domanda di chi fosse la colpa. «La Commissione per l’ecologia avrebbe dovuto dare l’input. In quegli anni la commissione istituita nel 1974 non si riuniva molto spesso a causa dei cambiamenti avvenuti dopo il passaggio ai De Benedetti».
Per Fornero, con l’arrivo dei nuovi padroni, le riunioni legate alla salute dei lavoratori si diradano. Rallentando gli interventi: «In conclusione nella ditta Olivetti vi è stata un’esposizione certa ad amianto per un lungo periodo per gli addetti che manipolavano direttamente materiali con amianto. L’uso di questi materiali è proseguito per molti anni e alcuni materiali sono stati sostituti soltanto dopo il bando del 1992» continua Silvestri.
Si intervenne con lentezza anche nel reparto trattamenti termici, dove persino guanti, ghette e grembiuli erano a base di asbesto, oltre che gli schermi anticalore e le coperte per mantenere a temperatura i forni.
Secondo la testimonianza di un lavoratore l’amianto è rimasto in quelle lavorazioni sino al 1992.
Tuttavia la questione che chiama in causa i dirigenti sino agli anni 2000 è la messa in sicurezza delle strutture, dove intonaci e pannelli per le controsoffittature erano a base di asbesto friabile (floccato). Qui, sottolinea Silvestri, «le prime indagini sulla situazione amianto risalgono al 1986-1987», ma gli interventi partiranno molti anni dopo.

Mettendo a rischio non solo gli addetti alla manutenzione, ma «tutte quelle persone che frequentavano abitualmente gli ambienti contaminati per svolgere le proprie mansioni (anche senza uso di amianto) o usufruire dei servizi».
Un tipico caso di «esposizione di tipo “passivo ambientale”». In un documento del 1992 viene indicata l’opportunità di ripulire dall’amianto le Officine H e i capannoni di San Bernardo, ma i lavori non iniziano prima del 1995.
Solo nel 1999 vengono bonificate le tubazioni della centrale termica di via Jervis e il controsoffitto di Palazzo uffici, mentre bisogna aspettare il 2000 per la Ico centrale.

Però, come detto, la vicenda più clamorosa riguarda il capannone Sud di San Bernardo. Ai pm ne parla Giuseppe Cerbone, 68 anni, sino al 1997 addetto ai monitoraggi ambientali del Sesl e che nel 2002, da consulente esterno, stilò un preventivo: «L’ammontare del costo era di oltre un miliardo di lire. La bonifica non venne effettuata anche perché l’Olivetti cedette il capannone a un certo Merletti che non fece in tempo a bonificare perché a quanto ne so venne arrestato».
Ora quel sito è un’emergenza ambientale.
Purtroppo l’allarme amianto all’Olivetti sarebbe stato sottovalutato anche perché i risultati delle analisi, secondo l’accusa, venivano «occultati» per ordini superiori. Nel settembre 2000 un’altra funzionaria del Sesl, Luisa Arras, trasmette i dati di alcuni campionamenti, omettendo di indicare il superamento dei limiti stabiliti dal decreto ministeriale del 1994 in materia di amianto.
La donna non indica lo sforamento di quei valori soglia anche in altri due documenti del 1996 e 1997.
Inizialmente in procura Arras si trincera dietro ai «non ricordo». «Ha ricevuto disposizioni in merito alle anomalie sopraindicate?» chiedono gli inquirenti. «No, evidentemente si è trattata di mia negligenza» replica la signora.
Che, però, alla fine cede: «Certo in molte aziende si tende a far risultare sulla carta situazioni come regolari, anche da noi era così perché tutte le volte che c’erano dati che non andavano bene o si ripeteva l’esame o non si citava il dato. Era una prassi che seguivamo già dall’inizio del mio servizio in azienda, ho visto che si faceva così, se c’erano dei valori che non andavano mi dicevano di non riportare il dato».

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