Pakistan, vendetta contro droni Usa: smascherato il capo della Cia a Islamabad

di Redazione Blitz
Pubblicato il 30 Novembre 2013 - 13:30 OLTRE 6 MESI FA
L'articolo del Corriere

L’articolo del Corriere

ROMA – Con una dichiarazione in tv un esponente politico pakistano ha spiattellato l’identità del capo stazione Cia a Islamabad. Lui, il politico, il leader dell’opposizione è Imran Khan, l’ex star del cricket e oggi leader del Tehreek-e-Insaf. Imran Khan ha svelato l’identità dell’uomo della Cia come vendetta, una vendetta annunciata per protestare proprio contro i raid dei velivoli senza pilota gestiti dall’intelligence americana.

Scrive Guido Olimpo per il Corriere della Sera.

Khan, che ha investito con successo sulla lotta ai droni, si è mosso dopo una serie di attacchi micidiali degli aerei Usa pilotati a distanza. Sotto i razzi sono cadute figure importanti, compreso il capo dei talebani pachistani, Hakimullah Mehsud. Altre operazioni hanno decapitato il temuto network Haqqani, la rete responsabile di molte stragi a Kabul e non troppo lontana dai servizi di Islamabad, l’Isi. Bastonate che hanno fatto male agli estremisti, diventate un pretesto nelle mani di Khan.

Così è partita l’escalation: proteste, poi i controlli sui convogli che portano i rifornimenti Nato in Afghanistan, infine la mossa ad effetto. Il nome del numero uno della Cia nel Paese. In una lettera scritta per mettere alle corde l’esecutivo, il portavoce del partito ha chiesto al governo di impedire la partenza dell’agente e quindi di trascinarlo in un’aula di tribunale. Quindi ha mosso accuse altrettanto severe nei confronti di John Brennan, l’attuale direttore Cia e ascoltato consigliere del presidente Obama. In questo «clima», il capo stazione è sparito. Si è nascosto oppure è stato portato via da un team della sicurezza Usa. Da quelle parti c’è da poco scherzare.
Sotto pressione, gli americani hanno lanciato il sospetto: sono stati i servizi pachistani a imbeccare Khan? Molto probabile, visto che quella carica non è pubblica. ù

Dagli Usa sono rimbalzate indiscrezioni sull’identità del funzionario, con un passato — sembra — in Spagna e Brasile. A lungo residente in una cittadina della cosidetta fascia di sicurezza, quei sobborghi di Washington dove abitano le famiglie di tanti «James Bond». Nella capitale la sorpresa è stata però relativa. Agli sgarbi dei pachistani sono abituati. Anche nel 2010 il nome dell’allora capo stazione Cia è stato fatto uscire sui media. Un anno dopo, il contrattista dell’intelligence Raymond Davis si è messo nei guai dopo aver ucciso due uomini a Lahore che lo stavano seguendo. Erano civili qualsiasi scambiati per aggressori? O si trattava di operativi dell’Isi impegnati in una sorveglianza ravvicinata nei confronti di uno 007 che aveva varcato una «linea rossa»? Quei casi sono roba del passato, però è rimasta la diffidenza alimentata, periodicamente, dalle denunce di collusione tra apparati del Pakistan e i militanti islamisti. Da anni Islamabad copre gli ambienti integralisti dando ospitalità e chiudendo gli occhi. Se Osama se ne stava a Abbottabad non è solo perché c’era l’aria buona.
Sui contrasti antichi sono cresciuti quelli recenti. Il Pakistan ha incriminato nuovamente — per un presunto intervento chirurgico andato male — il medico che ha aiutato la Cia a scovare Bin Laden, è riesploso il confronto sul futuro dell’Afghanistan e i negoziati di pace, infine ha ripreso vigore la protesta contro i droni unendo, tatticamente, gli afghani ai pachistani. Per Khan, come per molti altri, i bombardamenti devono finire in quanto alimentano l’odio, sono controproducenti, causano vittime tra i civili. Per Washington sono invece l’unica arma con la quale possono tenere sotto pressione terroristi altrimenti intoccabili. Ogni volta che il Pakistan ha provato a intervenire nei santuari dell’estremismo è stato punito da una striscia di attentati.