“Parolacce e offese a scuola: l’educazione non regge”, Chiara Paolin sul Fatto

di Redazione Blitz
Pubblicato il 4 Dicembre 2013 - 14:42 OLTRE 6 MESI FA

scuolaROMA – Un bambino di 11 anni manda un sms alla sua compagna di classe: “Sei una puttana, devi andare sull’Aurelia a battere, speriamo che un benzinaio te lo mette in culo”. La bambina piange, mostra alla mamma il messaggio, lei lo gira via email ai genitori senza dire chi l’ha scritto, ma domandando a tutti: ora che si fa?

Scrive Chiara Paolin sul Fatto Quotidiano:

Succede in una scuola di Roma, classe prima media, quartiere borghese. La email finisce sul pc sempre acceso del salotto, nel cellulare preso in prestito a papà per giocare durante il tragitto in auto. In poche ore tutti sanno tutto. Una mamma è furibonda, esige di conoscere il nome del colpevole per estrometterlo dalle amicizie della figlia. Un’altra tenta di riderci su, e viene travolta dalle critiche, tutti sanno che tenere a bada i ragazzi è un’impresa. Il traffico di foto, video e messaggi fa esplodere la frenesia del vivere in gruppo, l’ormone della preadolescenza diventa aggressività ingestibile. Non si tratta più di conquistare un turno di parola, un’occasione per brillare o parare una figuraccia. La tecnologia, la rete dei genitori perpetuamente interconnessi, ti fa sentire al centro del mondo, osservato e giudicato: esagerare è il minimo. Le parolacce, gli insulti, sono lo scherzo quotidiano. Gli adulti, a casa, cercano di reagire spiegando, sanzionando. A scuola la vita è più dura, perchè l’istituzione non può fare l’occhiolino e risulta rigida, antiquata. “Dire stronzo al compagno di banco è come dire sciocchino – spiega Claudia, maestra da vent’anni alle elementari -. Una volta li mandavamo dalla preside per una parolaccia, ormai non si può più: tra i bambini di 8-9 anni gli insulti più grevi sono la normalità. ‘Fanculo, ci dicono”.

“Eh, l’altro giorno uno ha dato un morso troppo grande alla merendina dell’amichetto e si è sentito chiaramente un ‘ciccione di merda’ volare in mezzo al cortile – spiega la bidella -. Mi si è gelato il sangue. I bimbi hanno continuato a urlare e correre come niente”. Mimare il vomito sulla spalla del vicino o minacciare un “ti cago in faccia” è insegnamento tratto da cartoni edificanti come “A tutto reality”. Gestacci dell’ombrello e formule semplici tipo “dai, cazzo!” derivano invece dalle serie tv stile “I soliti idioti”, caroselli consumati prima di cena mentre i grandi cucinano (…)