Pensioni: legge Richetti, atto eversivo, nega gli impegni dello Stato di diritto

di Redazione Blitz
Pubblicato il 17 Settembre 2017 - 06:02 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni: legge Richetti, atto eversivo, nega gli impegni dello Stato di diritto

Il deputato Pd Matteo Richetti (Ansa)

ROMA – Pensioni sempre minacciate di esproprio proletario. Pensionati in allarme. La legge Richetti, che vuole ricalcolare le pensioni dei Parlamentari drasticamente abbassandole, è la testa d’ariete per sovvertire un principio fondamentale dello Stato di diritto, la sua affidabilità. Cambiare retroattivamente i criteri di calcolo delle pensioni è come congelare i titoli di Stato.

Antonello Falomi l’ha definita “un pericoloso precedente”.

“Significherebbe che le leggi in base alle quali il cittadino è andato in pensione e sulle
quali ha fatto affidamento per organizzare la propria vita e quella dei suoi cari, non
valgono più, possono essere in qualsiasi momento messe in discussione.
E’ come se dicessimo a un giornalista andato in pensione entro il primo gennaio
2017, siccome prima di quella data hai goduto di un regime pensionistico più
privilegiato rispetto a quello vigente oggi per la generalità dei cittadini (62 anni di
età, 35 anni di contributi e metodo retributivo), allora ti ricalcolo retroattivamente col
metodo contributivo quella pensione su cui giustamente e legittimamente avevi fatto
affidamento.
Sarebbe un colpo durissimo allo Stato di diritto.
Si aprirebbe, inevitabilmente, la strada per mettere le mani nelle tasche dei pensionati
italiani”.

La legge Richetti è stata definita “un volgare atto di accattonaggio politico”. Parola di Giuliano Cazzola sul Foglio. Conferma la pericolosità eversiva della compagnia Grillo-Casaleggio-M5s. E anche la pericolosità eversiva della Lega, naturale mutazione di quel gruppuscolo che gridando “Roma ladrona” si è intascato milioni di nostri soldi. Conferma anche quanto sono scemi quelli della sinistra. Sembrano tesi in uno sforzo suicida, di scimmiottare i grillini. Sembra di rileggere il diario di Dino Grandi, di come la stupidità dei partiti antifascisti determinò il consolidmento del regime fascista.

Oggi la minaccia viene dai grillini e da chi cerca di imitarli. Da questo partito trasversale viene messo in pericolo, oltre alle prospettive di vita futura di milioni di italiani, anche il fondamento stesso dello Stato di diritto.

Le legge Richetti finirà sul binario morto. Ma una volta raggiunto il risultato di preservare le loro condizioni di miglior favore, deputati e senatori di tutti i partiti se ne fotteranno allegramente dei milioni di altri pensionati cui l’indescrivibile e indefinibile Tito Boeri vuole riservare un futuro di stenti.

Sul tema si segnala una serie di articoli che meritano di essere riportati.

Il più bello e appassionato intervento è quello di Antonello Falomi, persona di sicura sinistra e di sicura integrità, ex parlamentare. Denuncia che è in atto “una campagna senza precedenti contro le Assemblee elettive, altro che casta!”.

Sono passati dieci anni dalla pubblicazione del libro di Stella e Rizzo “La casta”, dice Falomi.

“Il senso di umiliazione che proviamo va oltre le nostre persone, non riguarda soltanto
quello che siamo stati, quello che abbiamo fatto, rinunciando spesso, in nome
dell’impegno politico e parlamentare, a carriere professionali e a percorsi lavorativi
individuali anche importanti.
Ci rammarica di più la grande umiliazione che viene inflitta quotidianamente alle
nostre istituzioni democratiche dalla più incredibile, pervasiva e imponente campagna
politico-mediatica che mai sia stata fatta nel nostro Paese contro le assemblee
elettive, contro il Parlamento, contro la funzione parlamentare, contro l’impegno
politico”.

Falomi parla con le statistiche:

“Da allora sui grandi quotidiani e testate nazionali abbiamo potuto leggere 3.823 titoli
di giornale dedicati alla casta, ai vitalizi, alle pensioni d’oro”.

Falomi è un gran signore e si risparmia facili riferimenti agli stipendi e alle future pensioni d’oro, di Gianantonio Stella e Sergio Rizzo. E aggiunge:

“Più di un articolo al giorno per dieci anni. Nello stesso periodo di tempo alla disoccupazione giovanile sono stati dedicati soltanto 67 articoli, sul lavoro precario ne abbiamo potuti leggere 40, mentre sulla
disuguaglianza sociale ne abbiamo visti 83. Sull’evasione fiscale sono stati
pubblicati solo 314 articoli, mentre alla povertà sono stati dedicati 718 articoli.
Solo la mafia batte “la casta”, con 5.046 titoli. Evidentemente le garanzie poste dalla
Costituzione a tutela della funzione parlamentare, appaiono pericolose quasi quanto
la mafia.
“Se poi consideriamo le migliaia di ore di talk show e di trasmissioni televisive e
radiofoniche a senso unico sul tema sul tema dei vitalizi, o l’enorme spazio dedicato
a questo tema dalle cronache e dai quotidiani locali non è azzardato concludere che
non di informazione si tratta, ma di un vero e proprio accanimento contro le
assemblee elettive del nostro Paese”.

L’articolo di Cazzola fa buon uso degli argomenti di Falomi. E attacca frontalmente M5s e fiancheggiatori:

Sostenere che il Parlamento arriverà (forse) alla naturale scadenza soltanto per assicurare l’odiata pensione (adesso si chiama così) ai deputati e ai senatori è un’affermazione stupida al pari di quella che, mesi orsono, raccomandava di andare alle elezioni comunque prima che passassero i famigerati quattro anni sei mesi e un giorno utili per intascare il malloppo. Eppure, resisi conto che la legge Richetti è destinata a finire nell’immondezzaio della cronaca politica, i media del malaffare si sono accontentati, alla stregua delle iene, di spolpare questa “non notizia”, dimostrando ancora una volta di subordinare gli interessi del Paese (il proseguimento della legislatura non è stato inutile) alla voglia di gogna che ha ormai delegittimato le istituzioni.

Il disegno di legge Richetti è “un volgare atto di accattonaggio politico per almeno due ordini di ragioni: tenta di rubacchiare, in casa loro, qualche spicciolo di consenso ai “grillincasaleggesi” e si è condannato da solo – se mai fosse stato approvato – ad essere suscettibile di un giudizio di incostituzionalità. L’errore strutturale dei ragazzotti che hanno tenuto compagnia a Matteo Richetti è stato proprio quello di affidare la materia ad una legge ordinaria – e pertanto sindacabile dalla Consulta – e non agire con regolamento, come si è sempre fatto, nell’ambito della c.d. autodichia ovvero dell’autonomia riconosciuta agli organi costituzionali. In sostanza, per effettuare il colpo di mano retroattivo contro gli ex vitalizi, sarebbe bastata una delibera ad hoc degli uffici di presidenza delle due Camere. E la Corte Costituzionale non sarebbe potuta intervenire.

Su questo concorda il Fatto, giornale allineato in genere sulle posizioni grilline. Il problema non è solo politico (la legge Richetti non ha i numeri per essere approvata al Senato. L’ex tesoriere del Pd Ugo Sposetti ha detto di essere pronto ad arruolare le truppe di chi vuole far fallire la legge).

C’è anche un problem di legittimità costituzionale che ha portato alla condanna definitiva, pronunciata dal capogruppo Luigi Zanda: “Bisogna valutarne la costituzionalità”. La Richetti ora è nel pantano della commissione Affari Costituzionali del Senato, l’approdo definitivo in aula rinviato a data da destinarsi.

“I dubbi di costituzionalità peraltro sono stati espressi anche da autorevoli esperti della materia, come Valerio Onida e Michele Ainis. Quest’ultimo ha scritto su Repubblica: “I vitalizi sono sempre stati disciplinati dai regolamenti interni delle Camere, non dalla legge” (in virtù del principio della cosiddetta autodichia).

Per questo, secondo Ainis, la Richetti porterebbe in seno un vizio anche formale di incostituzionalità. Curiosamente, il Pd ha respinto il taglio dei vitalizi (lo stesso della Richetti) anche in Ufficio di presidenza. Lo scorso 23 marzo la maggioranza guidata dai dem ha giudicato “inammissibile” la delibera dei Cinque Stelle per il ricalcolo delle pensioni degli ex onorevoli. Non s’ha da fare, né in un modo, né in un altro”.

Nextquotidiano annuncia che alcuni Parlamentari grillini hanno scritto a nome di tutti di volere rinunciare alla pensione. Ma non è così, sa di messinscena:

“Non è poi così vero che i 5 Stelle rinunciano ai privilegi una volta giunti a 67 anni d’età perché chiedono «di dirottare i nostri contributi alle casse di appartenenza di ogni singolo parlamentare o all’Inps per chi non aveva aperta una posizione previdenziale prima di entrare in Parlamento». Insomma nemmeno i 5 Stelle sono disposti a rinunciare ai contributi (quelli sì sostanziosi) versati in questi 5 anni di “lavoro”. Del resto visto che alcuni di loro prima di entrare in Parlamento avevano un reddito pari a zero rinunciare del tutto ai privilegi della casta sarà sembrato uno spreco”.

Rosanna Filippin, senatrice veneta del Pd, fra i migliori del suo partito, non ha dubbi. Si tratta di “ppura propaganda. Se volevano rinunciarvi, avevano un modo per farlo: dimettersi prima”.