Perché piangiamo, forse per stare meglio

di Redazione Blitz
Pubblicato il 1 Giugno 2016 - 11:00 OLTRE 6 MESI FA
Perché piangiamo, forse per stare meglio

Pianto, perché lo facciamo? Forse per stare meglio

ROMA – Vi siete mai chiesti perché piangiamo? La risposta potrebbe essere più semplice di quanto pensiamo: per stare meglio. A cercare di svelare il grande mistero del pianto sono molti gruppi di ricerca, ma una verità ancora non c’è. Sappiamo però, dopo tanti studi, che il pianto è più frequente nelle donne che negli uomini, che gli abitanti dei Paesi ricchi tendono di più a commuoversi e che il testosterone potrebbe avere un ruolo chiave nell’espressione delle emozioni.

Non esiste d’altronde un solo tipo di pianto. C’è chi piange di gioia, chi di tristezza, chi per la rabbia: le lacrime possono esprimere un vasto range di emozioni. Laura Cuppini sul Corriere della Sera scrive che Adam Rutherford, giornalista scientifico inglese, sul sito della Bbc ha pubblicato un  articolo sulla questione in cui ammette di commuoversi davanti a film particolarmente emozionanti, come Field of Dreams di Kevin Costner, e sicuramente non è l’unico a cui accade. Anzi proprio i film considerati “strappalacrime” sono un ottimo test per analizzare il pianto e la sua natura:

“Ruolo dei fattori sociali e del testosterone
Nel 1982 lo psicologo William Frey ha calcolato che le donne piangono in media 5,3 volte al mese, contro le 1,3 volte degli uomini. Non solo: una donna piange per 5 o 6 minuti di fila, mentre un uomo si limita a 2-3 minuti (sempre in media). Anche lo psicologo olandese Ad Vingerhoets ha indagato la questione, confermando che c’è un “gap di genere” delle lacrime che comincia nell’infanzia. Ma che non esiste tra i bambini piccolissimi, che piangono tutti allo stesso modo per farsi “sentire” dai genitori (sperando anche di farsi capire, finché non parlano). Vingerhoets sottolinea anche l’incidenza dei fattori socio-culturali: si piange di più nei Paesi dove il pianto è socialmente accettato – sostiene lo psicologo – e in particolare nei Paesi ricchi, forse perché il benessere fa sentire le persone più libere di esprimere le proprie emozioni. Oltre ai fattori sociali, lo psicologo olandese ritiene che abbiano un ruolo gli ormoni, nella fattispecie il testosterone. Si è visto infatti che in pazienti con tumore trattati con farmaci che abbassano questo ormone, la tendenza al pianto è molto più forte, anche se – sostiene Adam Rutherford – si potrebbe anche ipotizzare che queste persone sono più fragili perché hanno un cancro.

L’esperimento con i film «strappalacrime»
Ma la realtà è una sola. Non sappiamo il motivo per cui piangiamo, anche perché questo avviene nelle situazioni più disparate: quando siamo tristi, felici, quando abbiamo dolore fisico o un trauma psicologico. Essendo l’uomo un “animale sociale”, il pianto potrebbe essere un metodo di comunicazione diretta di sensazioni forti verso gli altri esseri umani (una specie di codice non verbale per richieste di aiuto o richieste di altro genere). Secondo altri studi di Vingerhoets le lacrime hanno un importante effetto catartico: è innegabile, dopo aver pianto – anche nelle situazioni più terribili – ci si sente (un po’) meglio. Nel 2015 ha fatto un esperimento chiedendo ad alcuni volontari di descrivere il proprio stato d’animo prima di vedere uno dei due film che aveva selezionato (“La vita è bella” di e con Roberto Benigni e “Hachiko – Il tuo migliore amico” di Lasse Hallström). La stessa richiesta è stata fatta dopo 20 minuti e dopo 2 ore dalla visione del film. Risultato: le persone che non avevano pianto erano esattamente dello stesso umore di prima, quelli invece che si erano abbandonati alle lacrime hanno detto di sentirsi molto meglio.