Poste private “per finta”, Governo incapace di tagliare. Francesco Giavazzi sa

Pubblicato il 30 Gennaio 2014 - 08:27 OLTRE 6 MESI FA
Poste private "per finta", Governo incapace di tagliare. Francesco Giavazzi sa

Francesco Giavazzi, privatizzazioni e spending review

“La «privatizzazione» delle Poste è l’esempio di ciò che accade quando un governo debole e pressato dai conti pubblici, perché non è capace di tagliare le spese, si trova a dover cedere a interessi particolari anziché operare nell’interesse dei cittadini e dello Stato”.

Questo è l’inizio di un articolo di Francesco Giavazzi, pubblicato dal Corriere della Sera.

Il ritmo è degno del De Bello Gallico di Giulio Cesare, solo che al posto del “vici” (vinsi) ci dovrebbe andare: “fugi” (scappai).

Non è che il fallimento della sua opera di revisore delle spese non abbia delle spiegazioni, dimostra però come è facile criticare e molto più difficile agiroìe; solo che Francesco Giavazzi, professore della Bocconi, un po’ tende a pontificare e sembra dimenticare la sua deludente e modesta performance come consulente per i tagli alla spesa pubblica durante l’infelice, per gli italiani, esperienza del Governo di Mario Monti.

In ogni caso, quando scrive, Francesco Giavazzi è quasi insuperabile. In un nuovo articolo sulle privatizzazioni italiane, Francesco Giavazzi si concentra su quella imminente delle Poste:

“L’operazione pare costruita su due principi: far contenti i sindacati concedendo loro un implicito diritto di veto su qualunque modifica del contratto di lavoro. E non contrapporsi a un management che si è abilmente conquistato la benevolenza del governo rischiando 70 milioni della propria cassa per coprire le perdite di Alitalia.

[…]

Poste Italiane è,

“al tempo stesso, un grande banca (con BancoPosta): la maggiore del Paese per numero di sportelli; una compagnia di assicurazione (con PosteVita) e il gestore di un servizio di spedizioni (oltre a essere, da qualche mese, uno dei maggiori soci di Alitalia e possedere una propria compagnia, Mistral). E poi vi sono PosteMobile, operatore di telefonia con 3 milioni di clienti; Postel che offre servizi telematici allo Stato; PosteTributi (attività di riscossione).

“Come un investitore può comprendere se le attività bancarie e assicurative sono gestite in modo efficiente? Come capire in che modo vengono allocati i costi degli oltre 13.000 uffici postali fra le tre attività che svolgono, posta, banca e assicurazione? Le Poste hanno anche un grande patrimonio immobiliare: come valutare se è sfruttato bene?”.

Qui Giavazzi inciampa un po’ perché cita cosa è stato fatto in Germania e Gran Bretagna per privatizzare le loro Poste. Non dà però conto se il servizio ai cittadini sia migliorato o peggiorato e quali interessi tipo quelli di Deutshe Bank siano entrati in gioco e con quanta trasparenza.

Poi ci sono i criteri di scelta dei dirigenti

“I veri investitori vogliono che gli amministratori possano essere sostituiti se non massimizzano il valore dell’azienda”

concetto anche questo un po’ scivoloso visto che in nome della massimizzazione del valore qualche disastro è stato anche fatto. Certo ha ragione, in assoluto, Giavazzi quando ricorda che in Poste italiane

il governo mantiene il 60% delle azioni (il governo di Berlino è sceso al 21%)” e che “è lo stesso management che, è vero ha completamente trasformato l’azienda, ma poi si è fatto coinvolgere nel salvataggio Alitalia.

“Il ricavo per lo Stato non è l’unico obiettivo di una privatizzazione. Il trasferimento di un’attività economica dal settore pubblico ai privati è anche l’occasione per migliorare la concorrenza nell’interesse dei cittadini. Le Poste sono una ragnatela di posizioni dominanti.

“Hanno un numero di sportelli superiore a Banca Intesa, che li ha dovuti ridurre per favorire la concorrenza. Attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, il risparmio postale è investito nella Tesoreria dello Stato, non a tassi di mercato, ma a interessi negoziati.

“Quando i tassi scendono l’adeguamento del rendimento che il Tesoro paga avviene lentamente, generando un sussidio improprio dello Stato (cioè dei contribuenti) alle Poste e alla Cassa.

E ancora, privatizzare è anche una strada per attirare investimenti dall’estero, per affermare l’apertura del Paese al mercato, per far fare un passo indietro allo Stato nella gestione dell’economia, per mostrare ai mercati che si vuole davvero ridurre il debito pubblico e non continuare a finanziare una spesa che non si riesce a tagliare”.

“Invece, ancora una volta si è imboccata una strada di cui ci pentiremo: l’ennesima occasione perduta”.