Province, Renzi, Barack Obama: prime pagine e rassegna stampa
Pubblicato il 26 Marzo 2014 - 08:25 OLTRE 6 MESI FA
Il Corriere della Sera: “La battaglia delle province”. La ragnatela dei mandarini. Editoriale di Francesco Daveri e Francesco Giavazzi:
Nel presentare il suo governo al Senato Matteo Renzi, parlando dei dirigenti pubblici, non ha usato mezzi termini: «Non può esistere la possibilità di un dirigente a tempo indeterminato che fa il bello e il cattivo tempo». Dopo le parole sono arrivati i fatti. Nei suoi primi trenta giorni, il governo ha cambiato dieci capi di gabinetto su sedici: Economia, Sviluppo, Istruzione, Giustizia, Affari regionali, Riforme, Lavoro, Funzione pubblica, Ambiente e Cultura. Ma le conferme hanno riguardato sei ministeri fra i più pesanti: Interno, Esteri, Difesa, Infrastrutture, Salute e Agricoltura. È presto per dire se è una vera svolta, come vorrebbe il premier, ma almeno sono stati sostituiti due terzi dei capi gabinetto: non era forse mai accaduto.
Non basta però cambiare un alto funzionario: tutto dipende da chi si sceglie per sostituirlo. Per ora, con i capi gabinetto, Renzi ha proceduto come nel gioco delle sedie. Quando parte la musica tutti si alzano, per poi sedersi in un altro posto non appena la musica si interrompe. Ma, diversamente dal gioco delle sedie, qui c’è sempre posto per tutti. All’Economia, è arrivato Roberto Garofoli, fino a ieri alla segreteria generale di Palazzo Chigi. Il nuovo capo gabinetto dell’Ambiente, Guido Carpani, svolgeva lo stesso incarico alla Funzione pubblica, dove al suo posto è arrivato Bernardo Polverari, fino a ieri «consigliere segretario» alla Camera. Il precedente capo gabinetto dell’Istruzione, Luigi Fiorentino, ora svolge lo stesso compito agli Affari regionali.
L’inciampo è stato liquidato come tale: due votazioni nelle quali governo e maggioranza sono stati sconfitti sull’abolizione delle Province, non dovrebbero avere conseguenze durature. Al punto che il premier Matteo Renzi anticipa che se oggi pomeriggio passerà al Senato la proposta illustrata ieri dal sottosegretario Graziano Delrio, il suo collaboratore più stretto, «tremila politici smetteranno di ricevere un’indennità dagli italiani». Sarebbe un successo non da poco, dopo le promesse non mantenute per anni. Né bastano ad annullare la sensazione di una piccola grande svolta le critiche di quanti, soprattutto nelle file di Forza Italia, parlano di «bluff» sostenendo che secondo il disegno di legge le Province saranno trasformate, non cancellate. Eppure, Palazzo Chigi sa che a Palazzo Madama le resistenze promettono di essere più coriacee di quelle emerse ieri.
Intanto, l’idea di svuotare e spoliticizzare il Senato sta lentamente cedendo il passo a una soluzione meno traumatica, che corregge il bicameralismo senza eliminarlo. Soprattutto, l’aula di Palazzo Madama può diventare il parafulmine delle tensioni che percorrono non soltanto la maggioranza di governo ma anche il partito di Silvio Berlusconi; e che la vigilia delle elezioni europee di maggio accentua. Nel Pd si registra qualche timida richiesta a Renzi della minoranza che fa capo a Gianni Cuperlo, affinché il Pd abbia un profilo più autonomo dall’esecutivo. Si tratta di una fronda che però il premier sembra in grado di controllare e zittire. Il cumulo delle cariche di segretario e di capo del governo gli consente di affrontare la Direzione fissata per venerdì con una certa sicurezza: nonostante malumori evidenti.
E dopo un tavolo viene un altro tavolo, a cui farà seguito ancora un tavolo.
I manifesti con il Monviso virato rosso e la faccia di Sergio Chiamparino già tappezzano il centro di Torino. Davide Bono ha immolato barba, baffi, occhiali e borsello per rassicurare la massaia indecisa. In Piemonte il M5S fa molto sul serio, e non solo per via del nuovo aspetto del suo candidato, che nel 2010 fu il primo pentastellato di sempre a essere eletto in una assemblea regionale. C’è un comitato ristretto che da mesi lavora alla stesura del programma. Gli spilli sulla mappa dei comizi sono stati messi con molta cura, privilegiando le provincie e le valli più lontane, dove tira aria di voti in libera uscita.
Il centrodestra fa tavoli, così nei comunicati delle locali segreterie vengono definite le riunioni più o meno ristrette. Uno a Roma, un altro a Torino, sempre e comunque in ordine sparso. Ognuno per sé. Il sonno dei tavoli genera candidati a getto continuo, con una lista che si allunga e restringe a seconda delle geometrie variabili di giornata, E il varo di primarie che da epocali e condivise in premessa, sarebbero state le prime nella storia del centrodestra, nel giro di una settimana si sono ridotte a consultazione per pochi intimi.
La prima pagina de La Repubblica: “Il premier potrà revocare i ministri”.
La Stampa: “Province, il governo rischia. E Renzi pensa alla fiducia”.
Il presidente Obama incassa il sostegno degli alleati, e forte dell’appoggio ottenuto durante la missione europea alza il tono con Putin. Lo schernisce, quasi, dicendo che «la Russia è una potenza regionale che minaccia i vicini per debolezza», mentre la sua prima preoccupazione geopolitica non sono le provocazioni di Mosca, «ma il rischio che qualcuno faccia esplodere un ordigno nucleare a Manhattan».
Se però Putin facesse l’errore di minacciare i confini della Nato, la risposta militare diventerebbe inevitabile, perché «questa è la ragione di vita dell’Alleanza».Quando la missione in Europa era stata concepita, gli obiettivi fondamentali di Washington erano far procedere gli sforzi per la sicurezza nucleare, allontanando il rischio che materiali pericolosi finissero nelle mani dei terroristi; rilanciare il rapporto economico e politico con il Vecchio continente, anche attraverso il nuovo accordo commerciale Ttip; cercare un terreno comune con papa Francesco, a partire dall’interesse reciproco per combattere la diseguaglianza.
Il Fatto Quotidiano: “Bagnasco ordina al ministro: Via quel libretto da scuola”.
Leggi anche: Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “L’estremo oltraggio”
Il Giornale: “Tremonti vuota il sacco”.
Editoriale di Nicola Porro:
Dopo vari processi e una condanna l’accusa ha chiesto ieri, a sorpresa,l’assoluzione di Dolce e Gabbana per reati fiscali. Altri pm hanno chiesto e ottenuto gli arresti per un gruppo di manager pubblici e professionisti che negli ultimi dieci anni hanno costruito mezza Lombardia: non avrebbero rubato un euro, ma gestito in modo poco ortodosso appalti e gare. Le due storie sono legate dalla percezione ormai diffusa che la giustizia sia in Italia una roulette russa. I magistrati ci mettono del loro, ma sono i politici che piazzano la pallottola nel tamburo. Le norme, soprattutto quelle che riguardano fisco e appalti, sono talmente incasinate che si rischia di essere colpevoli e innocenti al tempo stesso.
In sei anni sono stati costruiti in Lombardia la bellezza di 10 nuovi ospedali. Tirati su in tre anni contro una media italiana di dodici. Il costo per posto letto è inferiore di circa il 30% rispetto al resto del Paese. Infrastrutture Lombarde, guidata per nove anni da Antonio Rognoni, era come speedy gonzales. Proprio questo signore, insieme ad una pattuglia di professionisti, è da qualche giorno in galera. Il pool dei magistrati milanesi che lo ha messo sotto indagine è serio e scrupoloso. Cosa sta succedendo? Abbiamo una brutta impressione e ve la spiattelliamo.