Rai. Riforma che non riforma, nulla cambia, tutto bluff: Carlo Tecce sul Fatto

Pubblicato il 7 Aprile 2015 - 15:26 OLTRE 6 MESI FA
Rai. Riforma che non riforma, nulla cambia, tutto bluff: Carlo Tecce sul Fatto

Luigi Gubitosi, direttore generale della Rai. Dopo di lui un amministratore delegato. A parte il titolo, avrà gli stessi poteri

ROMA – La riforma della Rai, la “morbida riforma Rai”, o “la riforma che non riforma” immaginata dal Governo di Matteo Renzi esce male dall’esame che ne fa Carlo Tecce sul Fatto. Forse ha fatto male al ddl che fosse di venerdì sera, la sera del venerdì santo, come osserva Carlo Tecce. Ora il disegno di legge

“dovrà transitare in Parlamento e, secondo le imposizioni di Matteo Renzi, riemergere entro giugno”.

In caso contrario, è la minaccia di Renzi, i partiti si tengono la legge Gasparri:

“Come spesso accade, il Governo è riuscito a vendere un prodotto scadente con la complicità mediatica e la superficialità degli opinionisti”.

Segue l’analisi di Carlo Tecce sul disegno di legge di riforma della Rai, che ne rivela abbastanza del bluff, tranne un punto importante. Esaminando la figura del futuro amministratore delegato non va oltre la constatazione che  nulla cambia rispetto all’attuale direttore generale. Quello che Carlo Tecce non rimarca, invece, è il dubbio che una persona non votata al martirio, sana di mente, con un lavoro serio e ben retribuito, quindi un capo azienda capace, abbia voglia di imbarcarsi in quel tormentato viaggio sapendo che dopo tre anni se ne va, senza liquidazione o quasi, dopo avere lavorato con uno stipendio di poco superiore a quello del segretario generale del Comune di Roma : 294 mila euro lordi contro 254 mila, che diviso due (le tasse) e 13 (le mensilità) fa circa 12 mila contro 10 mila. Scrive Carlo Tecce:

1. “Il potente amministratore delegato avrà un contratto di tre anni, non sarà legato per sempre all’azienda”. L’uscente Luigi Gubitosi, entrato con i tecnici di Mario Monti nel luglio di tre anni fa, ha un mandato triennale che finisce con l’approvazione del bilancio. “Il nuovo ad non sarà nominato dal governo, ma dal ministero dell’Economia”. Pure il direttore generale, che ha più o meno la stessa funzione del tanto sbandierato amministratore delegato, è indicato dal Tesoro, il dicastero che controlla il 99,5 per cento di Rai spa.
2. “L’amministratore delegato avrà un ampio margine di manovra, avrà la potestà di firma fino ai 10 milioni di euro”. Vero. Ma i bardi renziani non precisano che Gubitosi già propone e autorizza accordi da 10 milioni di euro, tant’è che i contratti dei conduttori più esosi, rispetto all’epoca di Mauro Masi o Lorenza Lei, non passano neanche in Consiglio di amministrazione. Il Cda è ridotto a organo simbolico.
3. “Renzi ha sottratto ai parlamentari in Vigilanza Rai la spartizione sui consiglieri”. Esatto. Ma la spartizione l’ha consegnata ai deputati e ai senatori, perché due componenti li elegge la Camera e due il Senato. Domanda: anche il Senato degli enti locali avrà un ruolo su Viale Mazzini?
4. “I consiglieri possono essere revocati dal Tesoro assieme a un parere vincolante della Commissione di Vigilanza”. Signori, ma funziona così. La legge Gasparri prevede la revoca con un identico procedimento. Per questo motivo, Anna Maria Tarantola in Viale Mazzini e Roberto Fico in Vigilanza hanno avviato la burocrazia per cacciare Antonio Verro, il consigliere – come ha svelato il Fatto – che riferiva a Silvio Berlusconi il piano di sabotaggio contro otto trasmissioni considerate scomode.
5. “Il canone verrà ridotto”. Il governo s’è dato un anno per “ulteriori approfondimenti”, c’è da scommettere che l’abbonamento verrà ricalibrato e fintamente scontato appena si avvicinano le elezioni politiche.
6. “Un posto in Cda sarà riservato ai dipendenti”. Non conta niente, anzi appare una tattica, molto furbesca, per carpire il consenso dei sindacati interni (che non sono ingenui).